Plebaglia suburbana e subproletaria fusa in una unica semovente ributtante formazione compatta parallelepipeda di carne inscatolata in tre vagoni lerci pseudofutiristici di un tram verde marcio progettato da ingegneri-geometri idioti e diretto sferragliante come barca putrida di Caron Dimonio occhi di bragia a traghettare anime morte di centinaia di passeggeri illividiti da luci al neon verdastre nella centrale via Torino. Accozzaglia antiomogenea di razze disordinate raggrumate un un acido brodo disgustoso che mi fa sentire marziano verde-tram proiettato da anni luce di distanza e sparacchiato a tradimento nel gorgo scientificamente previsto di un maelstrom osceno rivoltante di brutte facce, brutti vestiti, brutte lingue, brutti odori, brutti uomini, brutte donne. Vivo non sperando in un mondo che non è più mio, tuo, nostro. Vivo sul tram numero 14, navicella ributtante di scorie repellenti da sparare sùbito, già domani mattina, con dinamite superpotenziata sulla superficie marziana.
Nel frattempo nella luminescente, gelida, sfavillante via Dante, coppie diamantate di russi superbamente ricchi solcano altezzosi e colbaccati la viscida marea di folla ondivaga rimbalzandosi a fior di labbra incomprensibili e glaciali "да" e "нет".
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sabato 1 dicembre 2007
martedì 6 novembre 2007
Lacrime invisibili e amare
Oggi, in tram, mi sono accorto di una cosa che avevo sotto gli occhi da chissà quanto tempo e a cui non avevo mai fatto caso. Dev'essere questo dinamismo che accompagna la mia vita a non avermi fatto osservare un fenomeno che, eppure, non è possibile non notare; dev'essere questo mio camminare troppo in fretta, sempre; dev'essere questo mio passo urbanizzato da uomo metropolitano di pianura che mi fa passare troppo veloce sui marciapiedi, che mi obbliga a percorrere centro metri in venti secondi, battendo rapido coi tacchi sulle pietre sconnesse di queste vie del centro; dev'essere lo sguardo sempre rivolto in avanti, al futuro geometrico che mi si para di fronte agli occhi ogni volta che, al mattino, esco di casa e già vedo, come disegno tecnico precississimo su un foglio bianco candidissimo, il futuro della mia giornata. Certo, vedersi sempre davanti agli occhi un disegno tecnico, mentre cammino, mentre salgo sul tram, mentre scendo in metropolitana, deve avermi impedito di vedere la cruda e orripilante realtà, e questa realtà vera, innegabile, violenta è che non ci sono più gonne. O meglio: non ci sono più donne che indossano gonne.
Me ne sono accorto proprio stamattina: ovunque io girassi gli occhi (per qualche motivo il disegno tecnico era momentaneamente assente) vedevo donne, ragazze, bambine che, in vece delle solite gonne corte, medie o lunghe a cui ero abituato, vestivano pantaloni.
Voi direte che è cosa normale, che le donne vestono pantaloni da molti anni, e che questa cosa è buona e giusta e che non vi è motivo per cui una donna non possa indossare un bel paio di pantaloni: forse che gli uomini non portano i pantaloni e lo fanno in maniera dignitosissima?
Certo, sono d'accordo e non posso sollevare obiezioni: le donne possono portare i pantaloni e, indubbiamente, li portano.
E allora ecco che, nel tram sovraffollato arrancante sferragliante è tutto un vibrare di sederi enormi, osceni, metafisici nella loro sproporzione; un mare agglutinante di carni inutili, di chilogrammi ridondanti; una massa incalcolabile di gutei devastati dall'informe assalto di ciccia, grasso, cellulite. Un oceano quasi semovente di pantaloni mal tagliati a contenere senza ritegno oceani orribili di sederi di donne ciccione, sfericizzate dalla pastasciutta col pomodoro, dalle poltrone televisive, dall'inamovibilità assoluta che domina la loro vita.
Ma ogni tanto, rarissimamente, nell'oceano dell'oscena pinguedine che tutto rende disarmonico e che tutto contagia come in un lazzaretto in cui la peste si diffonde e macera le carni di malati senza speranza, ecco che, come a salvare questi appestati ormai morti, appare la visione sublime, femminile, agile e balzante di una giovanissima italiana che, fasciata nella sua meravigliosa gonna elegantissima che ricopre glutei perfetti ricavati da ore di palestra meccanica, agilmente su tacchi a spillo sottilissimi d'acciaio sale sul tram con un elastico saltello.
Intorno, con occhi bovini, decine di fanciulle amorfe e con pantaloni alla moda piangono lacrime invisibili e amare,
Me ne sono accorto proprio stamattina: ovunque io girassi gli occhi (per qualche motivo il disegno tecnico era momentaneamente assente) vedevo donne, ragazze, bambine che, in vece delle solite gonne corte, medie o lunghe a cui ero abituato, vestivano pantaloni.
Voi direte che è cosa normale, che le donne vestono pantaloni da molti anni, e che questa cosa è buona e giusta e che non vi è motivo per cui una donna non possa indossare un bel paio di pantaloni: forse che gli uomini non portano i pantaloni e lo fanno in maniera dignitosissima?
Certo, sono d'accordo e non posso sollevare obiezioni: le donne possono portare i pantaloni e, indubbiamente, li portano.
E allora ecco che, nel tram sovraffollato arrancante sferragliante è tutto un vibrare di sederi enormi, osceni, metafisici nella loro sproporzione; un mare agglutinante di carni inutili, di chilogrammi ridondanti; una massa incalcolabile di gutei devastati dall'informe assalto di ciccia, grasso, cellulite. Un oceano quasi semovente di pantaloni mal tagliati a contenere senza ritegno oceani orribili di sederi di donne ciccione, sfericizzate dalla pastasciutta col pomodoro, dalle poltrone televisive, dall'inamovibilità assoluta che domina la loro vita.
Ma ogni tanto, rarissimamente, nell'oceano dell'oscena pinguedine che tutto rende disarmonico e che tutto contagia come in un lazzaretto in cui la peste si diffonde e macera le carni di malati senza speranza, ecco che, come a salvare questi appestati ormai morti, appare la visione sublime, femminile, agile e balzante di una giovanissima italiana che, fasciata nella sua meravigliosa gonna elegantissima che ricopre glutei perfetti ricavati da ore di palestra meccanica, agilmente su tacchi a spillo sottilissimi d'acciaio sale sul tram con un elastico saltello.
Intorno, con occhi bovini, decine di fanciulle amorfe e con pantaloni alla moda piangono lacrime invisibili e amare,
mercoledì 24 ottobre 2007
Pioggia finissima verticale
Pioggia finissima verticale sui nostri ombrelli firmati, sui nostri cappotti milanesi, sui nostri abiti gessati, sulle belle scarpe lucidate dalle nostre filippine affezionate.
Piove sulla città morta, sui monumenti dimenticati, sulle statue senza nome, sulle vecchie case diroccate, sulle lapidi inutili, sui tram centenari, sui marciapiedi sgangherati.
Piove su una Milano vecchia, abbandonata, stanca, ammalata e che non vuole più camminare; piove sui cimiteri, sui funerali, sugli ospedali: piove sui ruderi di ciò che siamo stati.
Non smetterà mai di piovere, questa pioggia finissima verticale.
Piove sulla città morta, sui monumenti dimenticati, sulle statue senza nome, sulle vecchie case diroccate, sulle lapidi inutili, sui tram centenari, sui marciapiedi sgangherati.
Piove su una Milano vecchia, abbandonata, stanca, ammalata e che non vuole più camminare; piove sui cimiteri, sui funerali, sugli ospedali: piove sui ruderi di ciò che siamo stati.
Non smetterà mai di piovere, questa pioggia finissima verticale.
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