lunedì 29 dicembre 2008

Vetro-acciaio di Shanghai

Scrivo da una camera di albergo al quarantasettesimo piano di un grattacielo che svetta, vetro-acciaio, in una città irta di altri grattacieli simili a questo ma molto più alti, in uno sfavillio vertiginosissimo di luci mirabolanti e in un delirio quasi meccanico di decine di migliaia di persone che affollano boulevards lastricati di graniti e marmi, che entrano ed escono da centri commerciali lussuosi e splendenti, dove tutto è alla portata di tutti, e si ingolfano in treni modernissimi lanciatissimi a folle velocità in un numero imprecisato di linee sotterranee metropolitane.
Scrivo da una città il cui aeroporto, progettato da un architetto francese, è collegato al centro via treno similmente a quanto accade con il trenino che unisce Malpensa a Milano: solo che qui il trenino si chiama Magnev, è a levitazione magnetica, viaggia a 450 chilometri orari e il biglietto costa 4 euro. E' un'esperienza resa possibile, mi dicono, da un ex sindaco della città che, in un accesso di -forse- narcisismo- ha voluto realizzare qualcosa che potesse rimanere a sua imperitura memoria.

In questa città ci si può spostare comodamente anche in taxi e fare lunghi tragitti: ieri, per uno spostamento di 20 minuti, ho speso 1,50 Euro e, compresa nel prezzo, c'è la visione simultanea e abbacinante di questo turbinio diabolico di umanità, di tecnologia, di modernità, di ricchezza, di ostentazione, di movimento, di dinamismo frenetico.

E poi ci sono poliziotti che sorvegliano e che controllano, discretamente e a debita distanza, che questo putiferio di esplodente attività si dipani senza intoppi e senza che nessuno crei problemi: questi poliziotti indossano guanti bianchi e hanno lo sguardo fiero ma tranquillo di chi sa di essere forte e nel giusto; anche chi lavora nella metropolitana calza guanti bianchi, e anche le hostess del Magnev hano guanti bianchi; e anche i portieri degli alberghi; e anche le guardie private, cosicché sembra di essere sempre attorniati da persone che, simili a maggiordomi silenziosi, si stanno prendendo cura di te a debita distanza, sì, ma sempre e comunque presenti e rassicuranti.

E poi le persone, qui, sono gentili: sorridono se chiedi loro qualcosa, hanno visi ottimisti, sembrano sereni e hanno sul volto quell'espressione placida e tranquilla di chi conduce una vita sicuramente impegnativa ma, almeno, rassicurante.

Forse, chissà, conta il fatto che queste persone hanno ben poche preoccupazioni: lavorano sempre, tutti i giorni, parlano quasi sempre solo di soldi, sono attaccatissimi alle proprie attività, ma hanno tempo di dedicarsi a ciò che la più avanzata tecnologia permette loro di fare: e allora è tutto un delirio di telefoni cellulari ultra moderni, computer potentissimi mai visti prima, televisori al plasma da mille pollici ovunque, connessioni internet nei posti più impensati, centomila canali satellitari che trasmettono programmi da tutto il mondo.

Forse, chissà, ma è solo un mio pensiero, sono così sereni perché non hanno il diritto-dovere di votare; altri votano per loro e, in fondo, che al potere ci sia un Berlusconi, o un Fini, o un Bertinotti o un qualsiasi altro politico o politicante per loro non fa differenza: lasciano che i politici li guidino in questo loro percorso fatto di progressi continui e di scintillante futuro e pensano alle proprie vite e alle proprie attività. E, nel caso che qualche amministratore corrotto venga pescato con le mani nel sacco, almeno avranno la consolazione di sapere che è stato condannato a cent'anni di lavori forzati. O a morte.

Sto scrivendo da una camera di albergo al quarantasettesimo piano di un grattacielo di Shanghai, Cina, e dovrò presto tornare a Milano, Italia.

venerdì 7 novembre 2008

La fatica pesante di dire -ancora- delle parole

Ricordo me stesso bambino e la gioia di parole spensierate lanciate nel cielo e ricadenti su di noi come fiocchi di neve bianchissima e le nostre piccole mani come farfalle coloratissime di guanti di lana rossi e blu ad acchiapparle a mezz'aria e giocare a rimbalzarcele l'un con l'altro e le guance rosse e i ginocchi sbucciati e mia madre giovanissima al balcone ad aspettare il mio ritorno.
Ricadono, oggi, su di noi parole nuove ma senza gioia, come gocce grigie di pioggia autunnale che ci intride i cappotti e le spalle infreddolite.
E cresce la fatica pesante di dire -ancora- delle parole.

venerdì 31 ottobre 2008

L'orrore nella notte

Questa breve storia è liberamente ispirata all'opera di H.P.Lovecraft e ai suoi racconti dell'incubo.

Scrivo dalla mia piccola stanza bianca: sono seduto sul mio letto, le braccia strette al corpo da bende elastiche e la penna trattenuta a stento fra le dita tremanti . Fuori dalla porta imbottita d'acciaio bianche figure si muovono silenziosamente e sono certo che si prendono cura di me. Ma io so che un orrore indescrivibile e strisciante si aggira fra le vie di questa città e che nessuno potrà salvare la mia anima da forme di vita che noi esseri umani neppure riusciamo a immaginare e che vengono a noi da tempi remoti in cui questo mondo era governato da entità oscene a antichissime e che sono ancora fra di noi, e fra di noi si muovono invisibili per adempiere a un disegno a noi ignoto e imperscrutabile.

Per questo scrivo la mia storia: perché spero che queste mie righe possano aprire gli occhi dell'Umanità e che qualcuno, prestissimo, si renda conto che è necessario agire se si vuole salvare la nostra specie da orrori inimmaginabili. Ma bisogna fare presto e i Paesi e le Nazioni devono sapere e prendere subito decisioni improrogabili. Altrimenti sarà la fine e neppure Dio, ma esiste davvero Dio?, potrà salvare queste sue fragili creature da una dannazione eterna e orribile: loro si stanno muovendo e vogliono succhiare il nostro corpo e la nostra anima.

Era da qualche tempo, ormai, che alla mattina mi succedeva di svegliarmi con la vaga sensazione di una stanchezza strana, nuova, sottile, mai provata prima e che sembrava essere ogni giorno più presente.
Ricordo che aprivo gli occhi fra le lenzuola ancora umide di sudore e mi colpiva, immediatamente, quel senso di muscoli quasi doloranti che si accompagna solitamente a una breve corsa di città, quando in calzature inadatte e su marciapiedi scivolosi ci si trova costretti, perché in ritardo, a fare brevi corse per riuscire a prendere in tempo un tram di passaggio.
In più, alla sensazione sgradevole di muscoli ogni giorno più irrigiditi, si aggiungeva una prostrazione generale che mi pervadeva l'anima e lo spirito e che mi impediva, fin dall'inizio della giornata, di godere della bella stagione, del sole e del cielo terso di un settembre particolarmente mite.
La sensazione che provavo allora potrebbe essere ben descritta con la parola "svuotamento": era come se le energie vitali delle mie membra e del mio spirito rifluissero da dentro per disperdersi al di fuori del mio corpo, lasciandomi esausto e quasi incapace di porre in essere alcuna attività.

Scorrevano così i primi giorni del mio malessere, con il pensiero teso ad ascoltare i dolori nuovi del mio corpo e i cedimenti dell'animo con il timore, alla sera, di svegliarmi il giorno dopo ancora più dolorante, debole, svuotato e sempre più malinconico. E le mattine si susseguivano, una dopo l'altra, con i muscoli sempre più dolenti e lo spirito che, ogni giorno, si faceva più fiacco.
Preoccupato per le mie nuove e inusuali condizioni fisiche e per l'umore declinante, decisi finalmente di farmi visitare da un mio amico medico il quale, però, ci tenne a rassicurarmi sul fatto che tutto era sicuramente a posto e che il mio corpo non soffriva di nessuna malattia e che questa malinconia che mi opprimeva da qualche tempo e in concomitanza con i dolori delle gambe e delle braccia sarebbe sicuramente svanita nel giro di pochi giorni e che, in definitiva, il mio stato di apprensione estrema non trovava nessuna giustificazione: qualche bella passeggiata nel sole di settembre e la lettura di qualche buon libro mi avrebbero sicuramente guarito e sarei tornato ad affrontare la vita con la stessa serenità dei miei giorni migliori.

Eppure io sentivo e sapevo che qualcosa non andava e che le parole rassicuranti del mio vecchio amico non erano sufficienti a spiegare, razionalmente, il torpore crescente e quella stanchezza innaturale che ormai da due settimane accompagnavano i miei risvegli e rendevano faticose le mie giornate; così faticose, ormai, che fui costretto a chiedere al mio capo ufficio di potere prendere un breve periodo di riposo dal lavoro e cercare così di rimettere in sesto la mia salute sempre più cagionevole.
Ma, nonostante il riposo, succedeva che i miei risvegli diventassero sempre più difficili e sempre più dolorosi: alla sofferenza di gambe e braccia si erano da qualche giorno aggiunti dei piccoli lividi azzurri che comparivano qua e là sugli avambracci, sul petto e sulle gambe; e un diffuso pallore cominciava a manifestarsi sul mio viso smagrito dalla stanchezza; come naturale conseguenza, lo stato del mio umore peggiorava con evidenza di giorno in giorno e mi vidi, piano piano, precipitare in una situazione di estrema spossatezza fisica e mentale che sfiorava, ormai, un cupo sentimento di depressione profonda. Depressione che diventava addirittura disperazione ogni volta che mi guardavo nello specchio: due occhi incavati in orbite nere e profonde, un viso bianco con la pelle tirata sugli zigomi appuntiti, i capelli opachi come sfibrati e indeboliti e il naso che risaltava nel mezzo della faccia come il becco di uno sparviero erano una visione che rendeva ancora più insopportabile la mia condizione.

Fu alla terza settimana di questa crisi a cui non riuscivo a trovare nessuna spiegazione logica che, immerso nella lettura di un libro di medicina che trattava di malattie strane e misteriose, mi imbattei nella storia di un uomo che, cento anni prima, aveva sofferto la mia stessa dolorosa esperienza: per mesi -si leggeva nel libro- questo signore aveva sofferto, al risveglio, di dolori e di stanchezza estremi e, solo dopo un lungo periodo di apprensioni e sofferenze, un famoso medico di Londra, specialista in psichiatria, aveva prima diagnosticato e poi provato che l'uomo semplicemente soffriva di sonnambulismo, ovvero di quella misteriosa propensione che spinge alcuni esseri umani a camminare durante il sonno e a risvegliarsi nel proprio letto, spesso stanchi come dopo lunghe passeggiate, senza ricordare alcunché della propria ignota vita notturna.

Potete sicuramente immaginare la mia contentezza nel rendermi conto che, forse, avevo trovato una spiegazione logica alle mie strane esperienze delle ultime settimane e che, sicuramente, l'origine dei miei disturbi poteva essere un attacco di sonnambulismo: solo così si potevano spiegare i dolori ai muscoli, i lividi forse causati da urti accidentali contro oggetti resi invisibili dal buio notturno, il mio crescente pallore forse provocato dalla stanchezza generale che derivava dalla mia seconda vita notturna fatta di camminate e di chissà quali altre attività a me ignote e un certo senso di estraneità alla mia stessa mente e alla mia stessa anima che talvolta mi faceva pensare con orrore che il corpo e l'anima non fossero più miei, non mi appartenessero più.

Ormai rinfrancato dalla mia scoperta e con l'animo sollevato di chi crede di avere trovato finalmente una via di uscita dalle proprie elucubrazioni nocive e una spiegazione definitiva ai propri disturbi fisici e dello spirito, mi apprestai a mettere in atto un semplice ma definitivo esperimento che avrebbe, senza dubbio alcuno, dimostrato con tutta chiarezza la mia propensione al sonnambulismo e, di conseguenza, mi avrebbe spinto a rivolgermi a qualche specialista che mi avrebbe certamente suggerito una cura al mio disturbo: il semplice esperimento consiteva nello spargere, sul pavimento intorno al mio letto, un sottile strato di farina in modo che se, durante la notte, mi fossi alzato per incamminarmi fuori dalla mia stanza, la mattina successiva avrei potuto facilmente trovare le impronte dei miei piedi sulla farina avendo così la dimostrazione pratica e visibile del mio disturbo notturno.

Fu quindi una sera d'ottobre che misi in pratica il mio intendimento e, dopo essermi seduto sul letto, sparsi a terra qualche manciata di farina stando ben attento a ricoprire il più ampiamente possibile la superficie di pavimento che, dal mio giaciglio, portava alla porta della mia camera: tutto era quindi pronto per sollevare, finalmente, quel velo grigio di cupa disperazione che aveva accompagnato le mie ultime settimane e, con il migliore degli animi, mi addormentai in attesa di un risveglio che avrebbe finalmente dato risposta chiara ai miei dubbi e alquanto alleviato le mie irrazionali paure.

E fu proprio l'indomani mattina, al momento del mio risveglio, che ciò che vidi mi fece sprofondare nel più indicibile degli orrori da cui mai mi riprenderò e che ancora adesso, ogni volta che mi accingo a riposare per qualche breve ora agitata, mi si para davanti alla mente come a ricordarmi che non vi è speranza per me e per la mia anima perduta: ciò che vidi nella farina stesa sul pavimento, infatti, non fu l'impronta dei miei piedi, ma l'impronta di due enormi zampe di un'arpia gigantesca con spaventosi artigli assassini che si dirigevano verso il mio letto indifeso.

giovedì 30 ottobre 2008

Questo nostro mondo cialtrone

Sono qui con le mani dietro alla schiena. Guardo la piazza da dietro i vetri di una lunga finestra di un ufficio silenzioso. E vedo migliaia di studenti incoscienti scalmanati sfilare esagitati nel frastuono di tamburi e urli megafonati, fra bandiere lanciate in aria e poliziotti in attesa di reggere l'assalto.
E cerco di vedere meglio quei visi di giovani italiani che marciano compatti verso la loro e la nostra rovina ultima e definitiva e vedo solo facce di bambini viziati in corpi di adulti falliti.
Nello stesso momento, a diecimila chilometri a Est, fra Hong Kong e Shanghai, fra Singapore e Taipei, milioni di studenti disciplinatissimi, come bachi da seta in bozzoli silenziosi, dormono otto ore di sonno in attesa del risveglio. E si preparano, pazienti, a governare da padroni questo nostro mondo cialtrone.

lunedì 27 ottobre 2008

Forza luminosa che irradiando dal viso

Sogno di svegliarmi, un mattino, e di farmi la barba con dinamite potentissima al posto del sapone e una sciabola malese invece del rasoio.
Solo così, chissà, nel fragore dinamitardo dei peli tagliati e negli scoppi successivi della lama affilatissima, potrò rigenerarmi in una freschezza nuova che mia dia, esplodendo come shrapnels nei mattini nebbiosi di questo ottobre che scorre languido, una forza luminosa che irradiando dal viso abbagli di luce meravigliosa questo mondo ingrigito.

mercoledì 22 ottobre 2008

Un mondo antico che è morto e sepolto

Nel decumano di Milano, verso la piazza del Santo Sepolcro, strizzo gli occhi nello scuro degli angoli più bui e mi sembra di vedere, dietro alle grate delle cantine di vecchie case diroccate, ombre di fantasmi diafani di vecchi romani in tunica bianca e sandali di cuoio.
E mi pare, ma forse è un'ombra fugace o un'illusione dei miei occhi stanchi, che anche loro strizzino miopi i loro occhi millenari senza più vita per spiare con meraviglia dall'ombra delle tombe dimenticate questi moderni esseri umani camminare spavaldi sui vecchi marciapiedi di pietre squadrate.
E guardo sbigottito sulla strada moderna di questa Milano abitata di barbari, mamme vestite come bambine e bambine vestite come puttane passare ridendo fra ombre ormai mute di un mondo antico che è morto e sepolto.

domenica 28 settembre 2008

Kevin

Mi chiamo Kevin e vivo a Trezzano sul Naviglio in provincia di Milano. I miei genitori sono della Calabria: mio papà ha quarantacinque anni e mia madre quaranta. Io ho dieci anni e peso ottantaquattro chili. Mia madre dice che è un problema della tiroide. Per il mio compleanno lo zio Santino mi ha regalato una tuta da ginnastica blu elettrica con su scritto Sport Power Iveco e la indosso ogni volta che posso perché anche il mio papà ne ha una uguale e quando andiamo all'Esselunga di Trezzano la mette sempre. Però per essere più elegante mette i mocassini. Anch'io vorrei i mocassini marroni come quelli del papà e infatti ho già chiesto alla mamma di regalarmene un paio per il mio onomastico; ma la mamma dice che mi ha già regalato il borsello porta cellulare con su la faccia di Batman e che quindi, per adesso, i mocassini possono aspettare. E poi dice che non esiste San Kevin e quindi niente onomastico e quindi niente regalo.
In fin dei conti sono un bambino felice: abbiamo una bella casa con dei bravi vicini di casa: anche loro sono della Calabria e li incontriamo sempre al Centro Commerciale alla domenica. Anche loro indossano una tuta come quella di mio padre, ma quella del papà è più bella perché è lucida e quando c'è luce riflette le lampadine.

Ti scrivo questa lettera perché ho letto il tuo blog e vedo che scherzi sempre i bambini grassi o ciccioni, come se fossero spazzatura umana schifosa oscena orribile che ti fa schifo solo a guardarla come se fosse colpa mia se quella deficiente della mia mamma mi dà sempre da mangiare quelle merendine orrende che mi hanno fatto ingrassare di 50 chili negli ultimi sei mesi e le gambe mi si sono stortate tutte e adesso sono diventate gambe a X e i miei compagni di klasse mi prendono per il kulo tutti i giorni e non riesko neanke a kamminare per ciento metri xché mi saltano i battiti del cuore e io mi sento morire e quei deficienti dei kompagni ke mi prendono in giro perché mi chiamo Kevin e allora mi kiamano Cicciobomba Kannoniere e io non posso neppure guardare le bambine della mia classe che ridono ogni volta perché dicono che ho la faccia da cretino con tutte le guance che sembrano gelatina rammollita sempre sporke di maionese e ke ho le dita delle mani come le salsicce del macellaio arabo che ha il negozio vicino a kasa nostra a Trezzano e allora preferisco stare a casa a guardare la TV che almeno si vedono i documentari con gli animali selvaggi e cieli azzurri e montagne meravigliose e isole lontane e popolazioni così diverse e almeno sogno di essere un bambino normale che possa andare in giro per il mondo e camminare senza dovere ansimare e guardare le bambine negli occhi e non vergognarmi di questo nome da circo che mi hanno messo addosso come una croce ed è cosi pesante da portare.

Mi chiamo Kevin, ho dieci anni e peso 84 chili. Sono un bambino felice e abito a Trezzano sul Naviglio in provincia di Milano.

mercoledì 24 settembre 2008

Mondi distantissimi ormai morti e disfatti in polvere eterna

Mi guardo intorno stupefatto ad osservare questa massa ondivaga di esseri umani che si muovono come telecomandati da altrui volontà siderali automatiche distanti chissà quanto, forse miliardi di anni luce. E mi si disegnano nel pensiero immagini di milioni di piccolissime navicelle spaziali lanciate come semi e contenenti germi di uomini lanciate un trilione di anni fa da civiltà ormai dissolte da eoni e che, polvere i loro ideatori e costruttori, solcano con volo automatico gli spazi infiniti alla ricerca di un approdo. E mi immagino una navicella-uomo che sia caduta nella notte dei tempi su questa nostra Terra e abbia generato il frutto ormai marcito di questa nostra Umanità, ultima testimone abbandonata di mondi distantissimi ormai morti e disfatti in polvere eterna.

giovedì 11 settembre 2008

Il sogno

Mi sveglio di soprassalto ancora oggi nel mio letto umido di sudore con un grido in gola nel ricordo della massa compatta del milione di motorini urlanti e delle nuvole azzurre di gas dei tubi di scappamento e del fragore dei motori imballati e del milione di facce con gli occhi a mandorla stretti in un ghigno malefico che, all'incrocio fra le due strade di Saigon, scattano in avanti come sola massa meccanica di ferro-uomo e sembra mi puntino come per passare sopra al mio povero corpo atterrito di occidentale che vuole attraversare la strada in una città che non è sua, non gli appartiene, gli è nemica.
Vedo, nel milione di uomini-macchina che scattano al semaforo, il segno di un futuro vicino fatto di miliardi di occhi a mandorla che governano il mondo sibilando fra denti bianchissimi e labbra aggricciate agghiaccianti ideogrammi 胜利,力量,霸权,中华,金钱 lanciati in avanti nell'aria umidissima e usati contro di noi come lame taglientissime di scintillanti kriss malesi.

sabato 16 agosto 2008

Si respira il Futuro della Terra

Scrivo da una sedia comodissima all'interno di un giardino tropicale con alberi di, credo, banane tutto intorno. Proprio vicino a me una fontana modernissima di alluminio dispensa, gratis, acqua
naturale refrigerata per chi avesse sete; più in là se ne scorgono altre, forse sono decine; mezz'ora fa ho fatto la doccia in una toilette arredata di pietre naturali grezze a pavimento e alle pareti; mi sono anche fatto la barba in un lavabo di vetro di design modernissimo e con rubinetti d'acciaio che sembravano baionette d'arditi schierate per l'assalto.

Tutto intorno a me, in corridoi e saloni di migliaia di metri quadrati, una moquette con decorazioni che ricordano foglie di alberi tropicali ricopre, morbidissima e pulitissima, ogni angolo di questa struttura enorme, futurista, tecnologica, fatta di vetro e acciaio. Sale attrezzate per mamme e bambini ospitano ciurmaglie entusiaste di piccole pesti che giocano con specie di ologrammi che vengono proiettati sul pavimento. Il luogo è affollatissimo di persone indaffarate ma sorridenti con bagliori entusiastici che scintillano dalle loro dentature bianchissime.
Parlano molte lingue e naturalmente anche l'inglese: pure il poliziotto, la signora delle docce, il barista indiano, la filippina che lava i vetri parlano inglese. Tutti sorridono, sempre, anche
quando chiedi un'informazione. E ti danno ascolto. Ci sono pochi europei e li si riconosce per l'aspetto generalmente trasandato, la postura svaccata, la barba di due o tre giorni, per la leggera
pinguedine che contraddistingue gli adulti e per l'oscena obesità che deturpa i corpi ormai sferici dei loro bambini.
Quelli del posto, invece, sono sempre vestiti, come dire?, normali: gli uomini hanno i
loro abiti e le donne portano la gonna, a tutte le età.
Gli italiani li riconosco senza neppure bisogno di sentirli parlare: sembrano mozzi di vascelli olandesi del '600 in libera uscita: pieni di tatuaggi, ricoperti di orpelli firmati del tipo di braccialetti con su scritto D&G, orecchini al naso e pezzi di ferro infilati in ogni parte del corpo: sono cafoni, sguaiati, parlano ad alta voce, dicono migliaia di parolacce e, naturalmente, bestemmiano. Sono giovani e danno l'idea di non capire neppure bene dove si trovino, ma si vede
benissimo che si sentono a disagio e, per insana reazione, fanno branco. Proprio adesso, vicino a me, si è sistemato un terzetto che si è messo a bere birra e la ragazza tiene i piedi sulla sedia.

Scrivo dall'aeroporto di Singapore, estremo Oriente di questo nostro Occidente che non c'è più, che è finito, che si perde in fasti ormai lontani, dimenticati e inutili e che non vuole saperne di riconoscere che, ormai, è finita. A Singapore c'è il mondo nuovo, quello del Futuro, quello che avrebbe potuto sognare F.T. Marinetti. C'è la Venezia Futurista fatta di ponti di vetro-acciaio che lui immaginava quando denunciava la Venezia passatista marcia e ormai disfatta. Ci sono i treni gratuiti e sopraelevati che ti portano, ogni due minuti, da un terminal all'altro. E ci sono le aree per fumatori, dove sei accolto come ogni altro passeggero e dove puoi alleviare la tensione di lunghe ore di volo fumando una sigaretta.

E poi c'è un'ultima cosa: qui non c'è la "democrazia": un signore, molto preparato, dirige e decide per tutti e le sue decisioni sono apprezzate da tutti, sembrerebbe. La gente sta bene, magari non
può votare per Luxuria o per Bossi o per Berlusconi o per Fassino o per Mastella ma la cosa che salta all'occhio, qui, è che la nostra democrazia finta, sgangherata, da operetta, fatta di cialtroni e per un popolo di cialtroni è destinata al ridicolo e al fallimento.
Qui, a Singapore, si respira aria di forza, di entusiamo, di ricchezza, di giovinezza, di voglia di vivere. Si respira il Futuro della Terra e di questa nostra Umanità.

giovedì 31 luglio 2008

Brezza luminosa e freschissima che scende planando

Brezza luminosa e freschissima che scende planando dalla montagna verde ad accarezzare questo mio viso bianco e questo mio corpo stanco e che non riesce a trovare pace.
Brezza ravvivante che sembra portare con sé tintinnii argentei di voci lontanissime come di spiriti pagani e di elfi dei boschi e di ninfe giovanette e di antichissime divinità dimenticate da questi uomini moderni che tutto hanno scordato e che niente riconoscono più.
E nelle risate leggerissime che scendono con la brezza come suoni antichi di campanelli d'argento mi sembra di sentire una voce che dice, squillando liquida in una sommessa risata di bambino: "noi siamo qui da sempre e non da adesso, chi si scorda di noi scorda se stesso".

lunedì 14 luglio 2008

Spaventosa visione blasfema

Spaventosa visione blasfema di migliaia di sederi nudi enormi di vecchie, allineati oscenamente a formare una massa rosa-giallognola come di dune sabbiose che avanzano inesorabili sospinte da un vento africano e maligno verso il mare blu cobalto.
Spiaggia equatoriale fatta di grasso e cellulite tremolante come budino alla crème caramel caramellato dal sole maligno che tutto brucia e tutto disinfetta definitivamente.
Schiere di migliaia di bagnanti bianchicce stese in riva al mare come legioni fantasma a guardare l'orizzonte vuoto dove un miraggio di fata morgana materializza, riflettendola nei roventi vapori d'una estate allo zenith, l'immagine simulacra della loro antica bellezza e sfiorita e quindi ormai perduta.

Sicut umbra fugit et inexorabilis questo tempo assassino e maligno.

venerdì 11 luglio 2008

Linee statiche sferiche

Nel vagone della metropolitana di Milano, linea 1, parallelepipedo di ferro sotterraneo sparato ad altissima velocità in gallerie successive a sezione rettangolare, in un delirio di geometrie lineari e quadrangolari e in un pandemonio di stridii meccanici di ruote d'acciaio su rotaie d'acciaio, un blocco monolitico scolpito in linee statiche e rotondeggianti spicca per la sua idiotesca immobilità remotissima: è un bambino sferoidale di 100 chili che mangiucchia a brevi rapidi morsi un panino con formaggio e prosciutto: meravigliosa comunanza di linee sferiche fra il corpo-faccia del bambino e il panino tondeggiante ripieno; linee statiche sferiche e carnose come un osceno feto gigante rotondizzano la geometria angolare e spigolosa di un treno d'acciaio che viaggia a 100 chilometri all'ora nel caldo ventre materno della città.

Nota dell'autore: quando questa mattina ho visto questo bambino ho avuto il sospetto che si trattasse dello stesso di cui già avevo scritto qui

domenica 6 luglio 2008

Dinamodragone

Migliaia di cinesi energizzati al parossismo dinamicizzano in gruppi efficientissimi i due marciapiedi della via Paolo Sarpi e delle poche vie laterali mentre, tutto intorno, una asmatica Milano marocchina zingara bulgara rumena poltrisce rammollita adagiata sul terreno infetto cemeteriale di un glorioso passato attivissimo ma ormai lontanissimo, sepolto e putrescente.
Scie dinamiche di migliaia di piedi numero 35 in corsa disegnano ventiquattro ore al giorno traiettorie angolari energetizzanti nella rettilinea via scoccando mitragliamenti automatici di scintille altamente produttive che andranno poi ad alimentare, arricchendole, migliaia di formicolanti attività commerciali ultraredditizie concentrate in negozi di scarpe, borse, borsette, agenzie viaggio, centri massaggi, elettronica, ristoranti, bar, bordelli.
Nei pochi negozi italianissimi della via, misere insegne sciatte e scolorite penzolano inutili cigolando su teste decrepite di vecchie commesse ciccione pallide polverose inattive in orario sindacale 9-12/15-19 (chiuso il lunedì).

martedì 24 giugno 2008

Caldo solstiziale

E' arrivato il caldo a liquefare oscenamente i lunghi precisi pensieri ordinati costruiti con rigido gelo geometrico nei freddi mesi invernali. Rimarrà una scia blasfema maleodorante e marcescente a seguire come un cadavere fradicio i miei passi che sprofondano nell'asfalto liquido dei marciapiedi evaporati. E ogni volta che mi giro trovo gli occhi imputriditi dei pensieri invernali, assassinati da questo caldo solstiziale che tutto uccide e tutto ammorba.