sabato 29 settembre 2007

Elogio della rissa

La rissa come medicina del mondo; sana scazzottatura a incendiare deserti senza germogli di civili vacue discussioni fra cervelli spenti che meccanicamente aprono-chiudono-aprono bocche di denti bianchissimi dentifriciatissimi su dorate smaglianti abbronzature inutili su facce quadre tonde bislunghe idiotesche in studi televisivi teatralmente apprestati a commedia con parti già scritte.
Noi vogliamo, invece, lo scontro fisico dello studio televisivo teatrale che ci dia il dinamismo delle linee dei pugni, dello schiocco delle sberle, dei tonfi dei calcioni, delle linee visibilmente dinamiche di tattiche guerresce da studiare come su mappe militari. Noi vogliamo essere la linea avanzante ma ferma di milioni di soldati feriti stracciati dilaniati uccisi digrignati che si fermano a guardare i generali e i colonnelli e i maggiori e i capitani a mitragliarsi inesorabili raffiche di pugni, sberle, calcioni.
Noi vogliamo incendiare lo statico mondo dei salotti televisi e portarli in arene d'acciaio dove il sangue rende nobili le loro facce abbronzate di vecchi statici idioti.

giovedì 27 settembre 2007

[Non Marinettiano] La montagna

Sto seduto qui, sulla cima di questa montagna, a guardare le altre montagne che mi stanno vicine, oltre ai prati e le valli, ferme da secoli nella stessa posizione a guardarsi l'una con l'altra, a impararsi a memoria, a studiarsi i fianchi corrosi dai millenni. Sto seduto sotto un cielo nero di nubi negre che corrono da Est verso Ovest, che spuntano all'improvviso, attraversano la valle davanti a me, oscurano d'ombra gelida i prati e i pini e vanno via a sinistra, scavalcando la montagna quadra che da sempre incombe su di me.
Non mi giro mai con gli occhi, lo sguardo sempre fisso in avanti, la schiena curva e le gambe inesistenti, guardo le montagne di fronte e le chiamo col loro nome, una ad una, compagne antiche d'una vita vissuta sempre qui, seduto sulla cima di questa montagna.
Mi chiamo Gianluca Sivieri e sono la montagna: da sempre sono seduto qui e tengo lo sguardo fisso davanti a me.

mercoledì 26 settembre 2007

Il Ciccione Rigato

Un uomo vestito solo di un costume da bagno a righe gialle e rosse orizzontali che gli copre tutto il corpo di ciccione urbanizzato ripete saltelli atletici accompagnati da sonori "oplà!" mentre, dal punto più alto del Duomo di Milano, osserva l'oceanica adunata di spettatori per lui convenuti e che gremiscono la piazza che sotto di lui si apre multicolore, multirazziale, multisonora.
Il Ciccione a righe orizzontali indossa i suoi occhiali da miope e conta nella piazza centomila occhi spalancati, diecimila macchine fotografiche digitali, mille telecamere professionali di mille televisioni mondiali; a destra, verso la Galleria, cinquemila giornalisti con cinquemila computer portatili; a sinistra, verso l'Arengario, cinquemila carabinieri. In fondo dritto, verso il Cordusio, centocinquanta autoambulanze d'alluminio lampeggianti modernissime: centocinquanta motori da centocinquanta cavalli.
Il Ciccione rigato consulta l'orologio da polso: tre minuti a mezzogiorno; la piazza si muove si scompone si agita e sale un "ooohhh" di eccitazione al movimento del braccio con l'orologio; centomila occhi guardano, diecimila macchine fotografiche digitali scattano, mille telecamere professionali rimbalzano a mille televisioni, attraverso mille ponti satellitari, l'immagine enormemente ingrandita dell'orologio da polso del Ciccione: in tutto il Mondo è mezzogiorno meno tre . Il Ciccione riporta il braccio alla precedente posizione: la piazza multicolore e multirazziale torna alla multisonora normalità.
Ed ecco che, pazzescamente, il Ciccione multirigato spicca tre piccoli balzi inaspettati, s'avvicina alla balaustra di marmo che lo separa dal vuoto verticale, slancia le braccia in avanti come in un tuffo agilissimo e, con un dinamicissimo salto definitivo si lancia nel vuoto, in basso, verticale, a capofitto sulla folla multicolore, multirazziale, multiurlante di un orrore eccitato bellissimo tremendo. Nella piazza che s'avvicina alla velocità pazzesca di duecento chilometri all'ora il Ciccione con le righe vede aprirsi la folla, crearsi un buco, un varco vacuo sul selciato di marmo ingrigito dal passaggio di un milione di piccioni. Un piccione vecchio e rognoso non fa tempo a spostarsi, il Ciccione lo spiaccica con il suo corpo urbanizzato che lanciato sul selciato scoppia con un "bum" deflagrando in centomila pezzi, centomila coriandoli di carne e di ossa e di ciccia e di trippa che ricadono, come pioggia nucleare, novella Hiroshima, sulla folla urlante, multicolore, multirazziale, eccitatissima.
Mille televisioni in tutto il Mondo rilanciano a un miliardo di persone l'immagine statica di un costume a righe orizzontali gialle e rosse, straccio sanguinolento deflagrato, esploso; vicino al corpo un orologio da polso senza il polso e un paio di occhiali incrinati da miope urbanizzato.

Pioggia d'alluminio

Piovono schegge leggere d'alluminio lucente oggi su questa città di piombo massiccio fusa come blocco di ghisa unico e piantata cubica nella terra molle della pianura padana.
Ci vogliono ombrelli d'acciaio a difendersi dal mitragliamento d'acqua-alluminio mentre tram arancioni buttano in avanti fanalerie gialle a creare milioni di riflessi oro sull'argento lucente dell'alluminio, sul grigio pesante del piombo, sul nero cieco della ghisa, sulle lame fiammeggianti dell'acciaio di avanguardie ardite di ombrelli portati in spalla come moschetti alla guerra.

martedì 25 settembre 2007

Demolizione della città di Milano

Crediamo opportuna la demolizione della città di Milano, vetusto ricettacolo marcescente di geometrie imperfette e di insopportabili lentezze.
La demolizione completa potrà, attraverso le ultime tecnologie, essere portata a termine nel breve giro di sei mesi al massimo: cariche di esplosivo plastico e utilizzo di enormi bulldozers saranno sufficienti allo spianamento totale di un'area che abbiamo calcolato in 625 chilometri quadrati: sullo spazio quadrilatero di 25 chilometri di lato che verrà così sanificato sorgerà la nuova città.
Le macerie saranno facilmente rimosse mediante giganteschi autoarticolati e trasportate presso il vicino lago di Como che verrà utilizzato come contenitore e quindi interamente riempito: in questo modo avremo creato una pianura di circa 125 chilometri quadrati a pochi passi dalla nuova città. La pianura verrà utilizzata, dopo essere stata interamente asfaltata, come aeroporto.
La nuova città di Milano dovrà avere forma di quadrato di 100 chilometri di perimetro ed essere interamente cinta di mura in cemento armato: quattordici porte di accesso saranno dislocate a intervalli di sette chilometri e quattordici metri.
Nel centro della nuova città una enorme centrale elettrica atomica fornirà energia alle fabbriche, alle case, alle automobili mediante particolari prese elettriche disponibili ogni 50 metri e dalle quali ognuno potrà attingere l'energia necessaria.
Dovranno essere abolite biciclette e motorette, causa di disordine e incidenti.
La città sarà servita da dieci livelli di superstrade di dieci corsie; cinque per ognuno dei due sensi di marcia; dovrà essere amministrata da un governo costituito da tedeschi, svizzeri e finlandesi.

Linee metalliche geometriche

Linee metalliche geometriche di binari di tram rilucono scintillando nell'alba equinoziale del Cordusio; non distante la testa travertinata di Marinetti guarda l'attuale lentezza statica della città addormentata in una notte di idee morte ma insepolte.

lunedì 24 settembre 2007

Dinamismo tranviario legato al concetto di velocità

L'esigenza di asservire la velocità rende i passeggeri delle reti tranviarie agilissimi calcolatori meccanicizzati programmati alla soddisìfazione dell'equazione:
Velocità=metri percorsi/sforzo in vece della più classica e naturalmente corretta funzione V=spazio/tempo.
Ottimizzare lo sforzo meccanico muscolare a vantaggio di una più durevole staticità del corpo intero è l'imperativo degli anni 2000: ciccioni e ciccione d'ogni colore, ma anche agilissimi corpi di giovani italiani disegnano strategie di risparmio energetico lungamente meditate e più volte messe in pratica con successo degno di essere riguadagnato.
Vediamo dunque cronometri precisissimi sottoforma di uominidonne che si alzano dal confortevolissimo posto occupato a discapito di vecchi vecchie gestanti solo nel momento esatto in cui, procedendo attraverso la via pià breve, possano lanciarsi con agile saltello fuori dalla porta di ingresso e più raramente di uscita.
Si assiste dunque e spesso a movimenti di massa geometrici ma disordinati di uominidonne che, interescando linee d'uscita spesso coincidenti se non addirittura intersecanti, meravigliosamente innescano linee colorate di verdure fuoriuscenti da sacchetti della spesa, bastoni di vecchi, masse carnose antidinamiche di razze bianche nere gialle in un turbinio frusciante d'urgente necessità di essere veloci dinamici in orario, sempre, sulla tabella di marcia del proprio meccanico cervello preprogrammato.

Falsa velocità

Costruiscono automobili velocissime leggerissime dinamicissime che raggiungono anche i 300 chilometri all'ora perché la velocità passiva, quella che si raggiunge meccanicamente senza lo sforzo dei propri muscoli, inebria facilmente: a pochi piace raggiungere i 50 chilometri all'ora correndo, a tutti piace l'emozione dei 300 raggiunti con le mani strette sul volante di un'automobile potente.
Eppure si tratta di falsa velocità, rattristata confusa e depressa da incomprensibili limiti autostradali di 130 Km/h.
Preferiamo, quindi, viaggiare sui nuovi treni agilissimi e velocissimi da cui godere lo spettacolo dei nostri panorami italiani languidamente seduti in prima classe nel vagone restaurant di un modernissimo treno che scintilla da nord a sud in un silenzioso fischìo come d'aria compressa.