Nell'orribile sogno di questa notte nera, una fila infinita di mille ciccioni si snoda sulla spiaggia buia come un lombrico rosa di gelatina traballante. Una luna malvagia occhieggia malsana dietro le rade nubi notturne.
Ed ecco che, nel sogno maledetto, i mille ciccioni ubbidiscono all'arcano comando di quella luciferina Luna Nera e tenendosi per mano formano una fila indiana ondeggiante che si dirige verso l'oceano scuro e calmissimo. Un leggero tremito quasi esoterico increspa la luce lunare che si riflette sull'acqua.
La fila infinita marcia automatica verso le acque maligne in attesa da millenni: i mille ciccioni, cantando sottovoce canzonacce blasfeme, si inabissano lentamente marciando come automi.
Sorge l'alba gelida e solo un'eco di canti lontani muore in distanza mentre le acque si chiudono sull'orrendo sudario marino.
venerdì 4 febbraio 2011
domenica 4 aprile 2010
Ogni nostra anima di una civiltà ormai finita
Corazzate costruite di ferro e acciaio e armate di cannoni calibro 406 incrociano le agitate acque del mare nero di questa nostra vita in tempesta che è ormai guerra continua e quotidiana: tutti contro tutti.
Uomini contro donne, bambini contro adulti, genitori contro figli. Studenti contro la scuola, la scuola contro il ministro. I giornali contro il Presidente, il Presidente contro i suoi nemici, i lavoratori conto i datori di lavoro, i datori di lavoro contro lo Stato. Gli omosessuali contro i normali, i bianchi contro i negri, i negri contro i gialli, i gialli contro tutti.
I gialli.
Nella battaglia navale enorme e spaventosa che ci apprestiamo a combattere con le nostre barchette di carta e salve di petardi sparati con batterie di Bic Cristal, i gialli schierano -silenziosi e pazienti- mille cacciatorpedinieri agilissimi 舰艇 irti di bocche da fuoco incise da caratteri cinesi a noi incomprensibili: e, nella loro tattica d'attacco da branco di lupi, ognuna delle loro navi inaffondabili cerca, segue, carica e cannoneggia a ripetizione ogni nostra anima di una civiltà ormai finita.
Uomini contro donne, bambini contro adulti, genitori contro figli. Studenti contro la scuola, la scuola contro il ministro. I giornali contro il Presidente, il Presidente contro i suoi nemici, i lavoratori conto i datori di lavoro, i datori di lavoro contro lo Stato. Gli omosessuali contro i normali, i bianchi contro i negri, i negri contro i gialli, i gialli contro tutti.
I gialli.
Nella battaglia navale enorme e spaventosa che ci apprestiamo a combattere con le nostre barchette di carta e salve di petardi sparati con batterie di Bic Cristal, i gialli schierano -silenziosi e pazienti- mille cacciatorpedinieri agilissimi 舰艇 irti di bocche da fuoco incise da caratteri cinesi a noi incomprensibili: e, nella loro tattica d'attacco da branco di lupi, ognuna delle loro navi inaffondabili cerca, segue, carica e cannoneggia a ripetizione ogni nostra anima di una civiltà ormai finita.
giovedì 1 aprile 2010
E quando non ci sarai più
E quando non ci sarai più, e il dolore ti avrà abbandonato, lenzuolo di tormenti scivolato dal tuo corpo come l'esausta pelle di crisalide che diventa farfalla, io ti chiedo di posare la tua mano che sarà bella e linda e luminosa sul mio capo ingrigito inchinato davanti a te e di darmi quella pace che cerco in questo mondo di dolore dove tu sei stata per così breve tempo eppure così dolce e consolante.
E ti chiederò, a te che non avrai vissuto le miserie umane d'una vecchiaia solitaria, di donarmi ancora quel sorriso così giovane e di tenermi fra le braccia come madre premurosa e di darmi la forza di seguire i tuoi stessi passi e, in quel cammino di fatica, rimanere saldo come sei ora tu.
E sarà il tempo di tornare insieme e di sorriderci ancora e di prenderci le mani e rimanere in silenzio e ringraziare il nostro Dio per averci fatto rincontrare come quel giorno lontano quando avevi fame e io seppi solo offrirti un cappuccino e un pasticcino.
E ti chiederò, a te che non avrai vissuto le miserie umane d'una vecchiaia solitaria, di donarmi ancora quel sorriso così giovane e di tenermi fra le braccia come madre premurosa e di darmi la forza di seguire i tuoi stessi passi e, in quel cammino di fatica, rimanere saldo come sei ora tu.
E sarà il tempo di tornare insieme e di sorriderci ancora e di prenderci le mani e rimanere in silenzio e ringraziare il nostro Dio per averci fatto rincontrare come quel giorno lontano quando avevi fame e io seppi solo offrirti un cappuccino e un pasticcino.
lunedì 21 dicembre 2009
Manifesto dinamico-scolastico 2010
Dall'anno scolastico 2010 le scuole elementari della città di Milano dovranno così essere organizzate:
- ogni famiglia italiana dovrà decidere se lo studente elementare iscritto vorrà essere aggregato al corso italiano-mandarino o al corso italiano-arabo;
- i due corsi prevederanno l'insegnamento di tutte le materie nelle due lingue prescelte: nelle classi con insegnamento in italianomandarino verranno instradati i figli di famiglie cinesi residenti nella zona e gli italiani che vorranno accedere alla lingua mandarina; in questo modo, dopo i cinque anni di corso, i bambini cinesi saranno perfettamente bilingui italiano-mandarino e i bambini italiani saranno perfettamente bilingui mandarino-italiano.
Il corpo insegnante sarà composto da insegnanti madrelingua: milanesi gli insegnanti italiani e pechinesi gli insegnanti cinesi.
Ugualmente, nelle classi che avranno scelto il corso italianoarabo, le lezioni si terranno nelle due lingue, in modo che al quinto anno di scuola i discenti saranno perfettamente bilingui. Nelle classi italaino-arabe verranno iscritti di ufficio i bambini le cui famiglie parlano arabo.
In questo modo noi alleveremo nuove generazioni di bilingui italiano-mandarino e italiano-arabo che potranno nel loro luminoso futuro interlocuire ad altissimo livello utilizzano le due lingue più diffuse e più di successo del secolo appena iniziato.
- ogni famiglia italiana dovrà decidere se lo studente elementare iscritto vorrà essere aggregato al corso italiano-mandarino o al corso italiano-arabo;
- i due corsi prevederanno l'insegnamento di tutte le materie nelle due lingue prescelte: nelle classi con insegnamento in italianomandarino verranno instradati i figli di famiglie cinesi residenti nella zona e gli italiani che vorranno accedere alla lingua mandarina; in questo modo, dopo i cinque anni di corso, i bambini cinesi saranno perfettamente bilingui italiano-mandarino e i bambini italiani saranno perfettamente bilingui mandarino-italiano.
Il corpo insegnante sarà composto da insegnanti madrelingua: milanesi gli insegnanti italiani e pechinesi gli insegnanti cinesi.
Ugualmente, nelle classi che avranno scelto il corso italianoarabo, le lezioni si terranno nelle due lingue, in modo che al quinto anno di scuola i discenti saranno perfettamente bilingui. Nelle classi italaino-arabe verranno iscritti di ufficio i bambini le cui famiglie parlano arabo.
In questo modo noi alleveremo nuove generazioni di bilingui italiano-mandarino e italiano-arabo che potranno nel loro luminoso futuro interlocuire ad altissimo livello utilizzano le due lingue più diffuse e più di successo del secolo appena iniziato.
mercoledì 18 novembre 2009
Manifesto della scrittura passatista-futurista
Noi vogliamo scrivere per pochi, e con la nostra scrittura schiaffeggiare l'ignorante, lo zotico, l'analfabeta.
Noi mettiamo in atto una scrittura che non possa essere compresa dalla massa primordiale suburbana proletaria illetterata. Noi usiamo aggettivi, avverbi e sostantivi desueti, in modo che essi rimangano oscuri alla massa dei cialtroni decerebrati da pastasciutta e televisione.
Noi vogliamo ridurre il numero dei nostri lettori a quei pochissimi che sappiano di italiano, latino, greco.
Per questo noi usiamo un linguaggio arduo, astruso, arcadico, antipratico.
Noi vogliamo che lo schiaffo e la sberla dei nostri scritti incomprensibili si stampi come icona di vergogna sulle facce idiote e le gote flaccide di ragazzini obesi e di genitori ignoranti vestiti di tute da ginnastica e dotati di borsello porta-cellulare.
Noi vogliamo che dei nostri scritti rimanga nei cervelli piccoli e rintontiti da mille ore di televisione un enorme punto interrogativo che tutto sovrasta e tutto rende incomprensibile.
Noi non amiamo la massa degli illetterati: noi vogliamo parlare all'aristocrazia del pensiero.
Per questo noi siamo passatisti-futuristi: perché attraverso la lingua del passato si possa costruire un fulgido futuro d'avanguardia di pensiero esclusivo.
Noi mettiamo in atto una scrittura che non possa essere compresa dalla massa primordiale suburbana proletaria illetterata. Noi usiamo aggettivi, avverbi e sostantivi desueti, in modo che essi rimangano oscuri alla massa dei cialtroni decerebrati da pastasciutta e televisione.
Noi vogliamo ridurre il numero dei nostri lettori a quei pochissimi che sappiano di italiano, latino, greco.
Per questo noi usiamo un linguaggio arduo, astruso, arcadico, antipratico.
Noi vogliamo che lo schiaffo e la sberla dei nostri scritti incomprensibili si stampi come icona di vergogna sulle facce idiote e le gote flaccide di ragazzini obesi e di genitori ignoranti vestiti di tute da ginnastica e dotati di borsello porta-cellulare.
Noi vogliamo che dei nostri scritti rimanga nei cervelli piccoli e rintontiti da mille ore di televisione un enorme punto interrogativo che tutto sovrasta e tutto rende incomprensibile.
Noi non amiamo la massa degli illetterati: noi vogliamo parlare all'aristocrazia del pensiero.
Per questo noi siamo passatisti-futuristi: perché attraverso la lingua del passato si possa costruire un fulgido futuro d'avanguardia di pensiero esclusivo.
martedì 17 novembre 2009
Sicut umbra dies nostri supra terram
Ero sul tram. Intorno a me giovani donne bellissime con i seni rifatti.
Ed ecco che, come in un incubo ossianico, m'appare negra la repentina fosca visione d'un cimitero notturno e di mille tombe sparse; e dentro quelle bianche tombe rilucenti alla Luna, cenere grigia e pochi resti mortali di quelle donne che furono belle. E fra quei miseri resti offesi dal tempo e mortificati dalla nera putredine della terra che li ricopre, ecco scintillare immortali, come speranza di resurrezione eterna, due protesi di silicone bianche baluginanti nella notte selenica: ciò che rimane dell'insulto della morte e del tempo che fugge.
Ahi, poveri noi e povera Umanità mortale! Sicut umbra dies nostri supra terram.
Ed ecco che, come in un incubo ossianico, m'appare negra la repentina fosca visione d'un cimitero notturno e di mille tombe sparse; e dentro quelle bianche tombe rilucenti alla Luna, cenere grigia e pochi resti mortali di quelle donne che furono belle. E fra quei miseri resti offesi dal tempo e mortificati dalla nera putredine della terra che li ricopre, ecco scintillare immortali, come speranza di resurrezione eterna, due protesi di silicone bianche baluginanti nella notte selenica: ciò che rimane dell'insulto della morte e del tempo che fugge.
Ahi, poveri noi e povera Umanità mortale! Sicut umbra dies nostri supra terram.
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mercoledì 7 ottobre 2009
Fuggivano ridendo a cercare riparo dietro le gonne di mamme vestite di nero
Nella via dietro casa otto bambini oscenamente grassi si trascinano stancamente e scompostamente tirandosi dietro enormi zaini con le rotelle pieni di libri. Forse sono libri di scuola. Gli otto bambini ansimanti comunicano con ampi cenni degli arti superiori e mediante suoni gutturali simili a quelli di alcuni cercopitechi della Tanzania; poi si scambiano pesanti manate sulle spalle, sulla schiena e sugli addomi flaccidi e rotondi; poi emettono suoni simili al riso umano: ma è un riso amaro che fuoriesce da bocche molli su visi d'idioti.
E mi tornano alla mente antichi studenti sciamare fuori dalla scuola di un piccolo paese di montagna, e bambini magrissimi in lunghi grembiuli neri scambiarsi poderose cartellate fra risate d'argento e una maestra seria correre fra di loro e pigliare per un orecchio il bambino più piccolino e più indifeso mentre gli altri fuggivano ridendo a cercare riparo dietro le gonne di mamme vestite di nero.
E su di loro scintillava un sole d'autunno radioso che tutto scaldava e rendeva più bello.
E mi tornano alla mente antichi studenti sciamare fuori dalla scuola di un piccolo paese di montagna, e bambini magrissimi in lunghi grembiuli neri scambiarsi poderose cartellate fra risate d'argento e una maestra seria correre fra di loro e pigliare per un orecchio il bambino più piccolino e più indifeso mentre gli altri fuggivano ridendo a cercare riparo dietro le gonne di mamme vestite di nero.
E su di loro scintillava un sole d'autunno radioso che tutto scaldava e rendeva più bello.
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giovedì 16 luglio 2009
Fresco mitragliamento obliquo della pioggia d'estate
Sentire all'orizzonte esplodere in successione metronomica
le grancasse siderali di mille tuoni intermittenti
accompagnate dai colpi secchi rullanti
a ritmo di tango
di un'orchestra di fulmini
e in sottofondo l'improvviso mutismo assoluto
di merli e cinciallegre
fino ad ora cantanti
al cielo grigio
pentagrammi volanti di note fischianti.
le grancasse siderali di mille tuoni intermittenti
accompagnate dai colpi secchi rullanti
a ritmo di tango
di un'orchestra di fulmini
e in sottofondo l'improvviso mutismo assoluto
di merli e cinciallegre
fino ad ora cantanti
al cielo grigio
pentagrammi volanti di note fischianti.
E buttare all'improvviso questa giacca pesante e saltare fuori da questa trincea e correre a perdifiato verso le linee nemiche coi piedi nudi e le braccia spalancate per essere, finalmente, messo a fuoco, collimato e preso di mira ad alzo zero dal fresco mitragliamento obliquo della pioggia d'estate.
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sabato 30 maggio 2009
Vorrei morire mille volte
Vorrei morire mille volte. E abituarmi così alla morte ogni volta cosicché, alla millesima morte, io possa presentarmi pronto e morire in piedi, saldo nella certezza che sia la vera morte e definitiva.
E presentarmi così, vestito con il migliore abito blu e la camicia bianchissima e il fazzoletto nel taschino e una cravatta blu luminosa, e camminare con scarpe nere e lucidissime e un sorriso spavaldo e non tornare più e dire finalmente, a me stesso e al mondo intero: sono morto mille volte e son sempre tornato ma adesso sento il suono della musica che scende dalle stelle e vedo la luce che m'incendia gli occhi e ho trovato quella pace che m'apparteneva da sempre ma non avevo trovato mai.
Vorrei vivere la morte mille volte per morirla, finalmente, una volta sola.
.
E presentarmi così, vestito con il migliore abito blu e la camicia bianchissima e il fazzoletto nel taschino e una cravatta blu luminosa, e camminare con scarpe nere e lucidissime e un sorriso spavaldo e non tornare più e dire finalmente, a me stesso e al mondo intero: sono morto mille volte e son sempre tornato ma adesso sento il suono della musica che scende dalle stelle e vedo la luce che m'incendia gli occhi e ho trovato quella pace che m'apparteneva da sempre ma non avevo trovato mai.
Vorrei vivere la morte mille volte per morirla, finalmente, una volta sola.
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lunedì 23 febbraio 2009
Io sputo su di voi e sul Futurismo
Io sputo. Sputo su di voi. Sputo su di voi che oscenamente festeggiate cent'anni di Futurismo.
Io sputo sulle vostre mostre, sui vostri musei, sulle vostre manifestazioni. Io sputo sui vostri cataloghi, sui vostri dipinti di Boccioni, di Balla, di Prampolini, di Crali. Sputo sul vostro Marinetti che avete prima ucciso e ora volete resuscitare: cadavere infradiciato dai vostri insulti di sessant'anni e che adesso avete riesumato. Io sputo su di voi tombaroli che aprite tombe che voi stessi avete sigillato e adesso urlate fra miasmi cadaverici: "Futurismo per sempre!"
Voi mi fate schifo: voi avete ucciso il Futurismo, voi passatisti, comunisti, democristi, partigiani, borghesucci fetenti, illetterati politicanti e pseudo-intellettuali vecchi di cent'anni.
Lasciate il Futurismo a noi che l'abbiamo sempre amato e togliete le vostre mani lerce da ciò che avete ammazzato.
Io sputo su di voi e sull'assassinio da voi compiuto. Io sputo sul vostri decrepiti crani spelacchiati e sulle vostre gialle facce occhialute. Sputo su ciò che siete e siete stati. Io sputo su ciò che voi avete fatto e sulla vergognosa Italia che voi avete creato.
Io sputo sulle vostre mostre, sui vostri musei, sulle vostre manifestazioni. Io sputo sui vostri cataloghi, sui vostri dipinti di Boccioni, di Balla, di Prampolini, di Crali. Sputo sul vostro Marinetti che avete prima ucciso e ora volete resuscitare: cadavere infradiciato dai vostri insulti di sessant'anni e che adesso avete riesumato. Io sputo su di voi tombaroli che aprite tombe che voi stessi avete sigillato e adesso urlate fra miasmi cadaverici: "Futurismo per sempre!"
Voi mi fate schifo: voi avete ucciso il Futurismo, voi passatisti, comunisti, democristi, partigiani, borghesucci fetenti, illetterati politicanti e pseudo-intellettuali vecchi di cent'anni.
Lasciate il Futurismo a noi che l'abbiamo sempre amato e togliete le vostre mani lerce da ciò che avete ammazzato.
Io sputo su di voi e sull'assassinio da voi compiuto. Io sputo sul vostri decrepiti crani spelacchiati e sulle vostre gialle facce occhialute. Sputo su ciò che siete e siete stati. Io sputo su ciò che voi avete fatto e sulla vergognosa Italia che voi avete creato.
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mercoledì 14 gennaio 2009
Si sfidavano inferociti a colpi di clava e bastone
Sono il Controllore.
Dalla mia stanza con le pareti coperte di leve e bottoni controllo la città. Tutto dipende dalla mia volontà.
E siccome sono un tipo un po' tremendo e anche birichino, ogni giorno mi ingegno in uno scherzetto nuovo per vedere l'effetto che fa: oggi ho spostato -leggerissimamente!- la piccola leva che comanda i semafori di questa metropoli e, attraverso le mille telecamere che trasmettono sul mio schermo quel che succede nelle strade, malignamente ho osservato, come in una tregenda infernale, milioni di automobilisti intrappolati per ore in un traffico impazzito e metropolitano. Oh, umanità! Quanto mi piace guardarti mentre, per un piccolo contrattempo nella tua misurata vita quotidiana, perdi il lume della tua ragione divina e diventi istinto e razza animale!
Nel gigantesco ingorgo di carne e lamiere provocato dalla piccola leva nel mio piccolo ufficio, migliaia di uomini-belva, simili a bestie selvagge e impazzite, si sfidavano inferociti a colpi di clava e di bastone.
Dalla mia stanza con le pareti coperte di leve e bottoni controllo la città. Tutto dipende dalla mia volontà.
E siccome sono un tipo un po' tremendo e anche birichino, ogni giorno mi ingegno in uno scherzetto nuovo per vedere l'effetto che fa: oggi ho spostato -leggerissimamente!- la piccola leva che comanda i semafori di questa metropoli e, attraverso le mille telecamere che trasmettono sul mio schermo quel che succede nelle strade, malignamente ho osservato, come in una tregenda infernale, milioni di automobilisti intrappolati per ore in un traffico impazzito e metropolitano. Oh, umanità! Quanto mi piace guardarti mentre, per un piccolo contrattempo nella tua misurata vita quotidiana, perdi il lume della tua ragione divina e diventi istinto e razza animale!
Nel gigantesco ingorgo di carne e lamiere provocato dalla piccola leva nel mio piccolo ufficio, migliaia di uomini-belva, simili a bestie selvagge e impazzite, si sfidavano inferociti a colpi di clava e di bastone.
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venerdì 9 gennaio 2009
Manifesto dinamo-politico
In questo inizio di nuovo anno, in un'Italia ancora e sempre più incialtronita da legioni di amministratori politici incapaci e corrotti e da masse gelatinose vischiose di proletariato mentale suburbano incarnato come fulgido esempio nel prototipo operaio dell'abitatore delle periferie oscenamente ingrassato da ore passate davanti al televisore e da centinaia di merendine idrogenate, noi lanciamo -oggi- il nostro Manifesto Dinamo-Politico per l'Italia del XXI secolo.
Aboliamo, da domani, il Parlamento della Repubblica, strumento ormai vetusto e corpo putrescente adagiato nel freddo gelido di una tomba monumentale eretta sui fasti antichi di una civiltà non più esistente e frequentato da centinaia di uomini-donne impreparati, ignoranti, operai-contadini analfabetizzati da partiti e movimenti politici guidati da corrotti e aprofittatori;
sostituiamo l'abolito Parlamento della Repubblica con un gruppo di cinque uomini preparatissimi e stranieri, laureatissimi, di famiglia eccellente e che abbiano frequentato le migliori università europee di Berlino, Parigi, Stoccolma, Helsinki: questi cinque uomini dovranno avere un'età compresa fra i 30 e i 45 anni; questi uomini dovranno essere pagati 10 milioni di Euro all'anno a testa;
i cinque uomini dovranno sospendere ogni diritto costituzionale per cinque anni e, attraverso Polizia, Carabinieri ed Esercito, assicurare un perfetto ordine pubblico: chiunque commetta reati o crimini dovrà essere rinchiuso a tempo indeterminato in appositi penitenziari ad altissima sicurezza che verranno all'uopo progettati e costruiti;
i cinque uomini dovranno inoltre occuparsi della gestione corrente degli affari dello Stato e preparare, nei cinque anni del loro mandato, nuove elezioni generali da svolgersi allo scadere del quinto anno: alle elezioni generali potranno presentarsi cinque nuovi partiti politici che dovranno proporre cinquanta candidati ciascuno, per un totale di duecentocinquanta candidati; questi candidati dovranno essere per due terzi stranieri divisi equamente fra americani, europei, cinesi e giapponesi e avere un'età compresa fra i 30 e i 45 anni; il restante terzo, composto di italiani, dovrà essere di uomini-donne con 5 lauree conseguite presso università straniere;
nei cinque anni di mandato i cinque uomini dovranno provvedere a radere al suolo i centri storici delle 20 maggiori città italiane e costruire, al loro posto, nuclei abitativi, lavorativi ed economico-finanziari composti da giganteschi grattacieli di alluminio-vetro di 100 piani ciascuno. Alla plebe suburbana a cui dovrà essere requisita la casa verrà consegnato un appartamento d'acciaio nelle vicinanze delle fabbriche che verranno costruite nelle più lontane periferie.
Allo scadere del quinto anno, una volta indette le elezioni e instaurato il nuovo Parlamento della Repubblica Futurista Pan-Italiana, i cinque uomini si dovranno ritirare a vita privata: a loro memoria verranno eretti monumenti equestri d'alluminio in tutte le piazze di ogni città italiana.
Solo così l'Italia potrà, a pieno diritto, entrare a fare parte delle Nazioni Civili di questo pianeta.
Aboliamo, da domani, il Parlamento della Repubblica, strumento ormai vetusto e corpo putrescente adagiato nel freddo gelido di una tomba monumentale eretta sui fasti antichi di una civiltà non più esistente e frequentato da centinaia di uomini-donne impreparati, ignoranti, operai-contadini analfabetizzati da partiti e movimenti politici guidati da corrotti e aprofittatori;
sostituiamo l'abolito Parlamento della Repubblica con un gruppo di cinque uomini preparatissimi e stranieri, laureatissimi, di famiglia eccellente e che abbiano frequentato le migliori università europee di Berlino, Parigi, Stoccolma, Helsinki: questi cinque uomini dovranno avere un'età compresa fra i 30 e i 45 anni; questi uomini dovranno essere pagati 10 milioni di Euro all'anno a testa;
i cinque uomini dovranno sospendere ogni diritto costituzionale per cinque anni e, attraverso Polizia, Carabinieri ed Esercito, assicurare un perfetto ordine pubblico: chiunque commetta reati o crimini dovrà essere rinchiuso a tempo indeterminato in appositi penitenziari ad altissima sicurezza che verranno all'uopo progettati e costruiti;
i cinque uomini dovranno inoltre occuparsi della gestione corrente degli affari dello Stato e preparare, nei cinque anni del loro mandato, nuove elezioni generali da svolgersi allo scadere del quinto anno: alle elezioni generali potranno presentarsi cinque nuovi partiti politici che dovranno proporre cinquanta candidati ciascuno, per un totale di duecentocinquanta candidati; questi candidati dovranno essere per due terzi stranieri divisi equamente fra americani, europei, cinesi e giapponesi e avere un'età compresa fra i 30 e i 45 anni; il restante terzo, composto di italiani, dovrà essere di uomini-donne con 5 lauree conseguite presso università straniere;
nei cinque anni di mandato i cinque uomini dovranno provvedere a radere al suolo i centri storici delle 20 maggiori città italiane e costruire, al loro posto, nuclei abitativi, lavorativi ed economico-finanziari composti da giganteschi grattacieli di alluminio-vetro di 100 piani ciascuno. Alla plebe suburbana a cui dovrà essere requisita la casa verrà consegnato un appartamento d'acciaio nelle vicinanze delle fabbriche che verranno costruite nelle più lontane periferie.
Allo scadere del quinto anno, una volta indette le elezioni e instaurato il nuovo Parlamento della Repubblica Futurista Pan-Italiana, i cinque uomini si dovranno ritirare a vita privata: a loro memoria verranno eretti monumenti equestri d'alluminio in tutte le piazze di ogni città italiana.
Solo così l'Italia potrà, a pieno diritto, entrare a fare parte delle Nazioni Civili di questo pianeta.
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lunedì 29 dicembre 2008
Vetro-acciaio di Shanghai
Scrivo da una camera di albergo al quarantasettesimo piano di un grattacielo che svetta, vetro-acciaio, in una città irta di altri grattacieli simili a questo ma molto più alti, in uno sfavillio vertiginosissimo di luci mirabolanti e in un delirio quasi meccanico di decine di migliaia di persone che affollano boulevards lastricati di graniti e marmi, che entrano ed escono da centri commerciali lussuosi e splendenti, dove tutto è alla portata di tutti, e si ingolfano in treni modernissimi lanciatissimi a folle velocità in un numero imprecisato di linee sotterranee metropolitane.
Scrivo da una città il cui aeroporto, progettato da un architetto francese, è collegato al centro via treno similmente a quanto accade con il trenino che unisce Malpensa a Milano: solo che qui il trenino si chiama Magnev, è a levitazione magnetica, viaggia a 450 chilometri orari e il biglietto costa 4 euro. E' un'esperienza resa possibile, mi dicono, da un ex sindaco della città che, in un accesso di -forse- narcisismo- ha voluto realizzare qualcosa che potesse rimanere a sua imperitura memoria.
In questa città ci si può spostare comodamente anche in taxi e fare lunghi tragitti: ieri, per uno spostamento di 20 minuti, ho speso 1,50 Euro e, compresa nel prezzo, c'è la visione simultanea e abbacinante di questo turbinio diabolico di umanità, di tecnologia, di modernità, di ricchezza, di ostentazione, di movimento, di dinamismo frenetico.
E poi ci sono poliziotti che sorvegliano e che controllano, discretamente e a debita distanza, che questo putiferio di esplodente attività si dipani senza intoppi e senza che nessuno crei problemi: questi poliziotti indossano guanti bianchi e hanno lo sguardo fiero ma tranquillo di chi sa di essere forte e nel giusto; anche chi lavora nella metropolitana calza guanti bianchi, e anche le hostess del Magnev hano guanti bianchi; e anche i portieri degli alberghi; e anche le guardie private, cosicché sembra di essere sempre attorniati da persone che, simili a maggiordomi silenziosi, si stanno prendendo cura di te a debita distanza, sì, ma sempre e comunque presenti e rassicuranti.
E poi le persone, qui, sono gentili: sorridono se chiedi loro qualcosa, hanno visi ottimisti, sembrano sereni e hanno sul volto quell'espressione placida e tranquilla di chi conduce una vita sicuramente impegnativa ma, almeno, rassicurante.
Forse, chissà, conta il fatto che queste persone hanno ben poche preoccupazioni: lavorano sempre, tutti i giorni, parlano quasi sempre solo di soldi, sono attaccatissimi alle proprie attività, ma hanno tempo di dedicarsi a ciò che la più avanzata tecnologia permette loro di fare: e allora è tutto un delirio di telefoni cellulari ultra moderni, computer potentissimi mai visti prima, televisori al plasma da mille pollici ovunque, connessioni internet nei posti più impensati, centomila canali satellitari che trasmettono programmi da tutto il mondo.
Forse, chissà, ma è solo un mio pensiero, sono così sereni perché non hanno il diritto-dovere di votare; altri votano per loro e, in fondo, che al potere ci sia un Berlusconi, o un Fini, o un Bertinotti o un qualsiasi altro politico o politicante per loro non fa differenza: lasciano che i politici li guidino in questo loro percorso fatto di progressi continui e di scintillante futuro e pensano alle proprie vite e alle proprie attività. E, nel caso che qualche amministratore corrotto venga pescato con le mani nel sacco, almeno avranno la consolazione di sapere che è stato condannato a cent'anni di lavori forzati. O a morte.
Sto scrivendo da una camera di albergo al quarantasettesimo piano di un grattacielo di Shanghai, Cina, e dovrò presto tornare a Milano, Italia.
Scrivo da una città il cui aeroporto, progettato da un architetto francese, è collegato al centro via treno similmente a quanto accade con il trenino che unisce Malpensa a Milano: solo che qui il trenino si chiama Magnev, è a levitazione magnetica, viaggia a 450 chilometri orari e il biglietto costa 4 euro. E' un'esperienza resa possibile, mi dicono, da un ex sindaco della città che, in un accesso di -forse- narcisismo- ha voluto realizzare qualcosa che potesse rimanere a sua imperitura memoria.
In questa città ci si può spostare comodamente anche in taxi e fare lunghi tragitti: ieri, per uno spostamento di 20 minuti, ho speso 1,50 Euro e, compresa nel prezzo, c'è la visione simultanea e abbacinante di questo turbinio diabolico di umanità, di tecnologia, di modernità, di ricchezza, di ostentazione, di movimento, di dinamismo frenetico.
E poi ci sono poliziotti che sorvegliano e che controllano, discretamente e a debita distanza, che questo putiferio di esplodente attività si dipani senza intoppi e senza che nessuno crei problemi: questi poliziotti indossano guanti bianchi e hanno lo sguardo fiero ma tranquillo di chi sa di essere forte e nel giusto; anche chi lavora nella metropolitana calza guanti bianchi, e anche le hostess del Magnev hano guanti bianchi; e anche i portieri degli alberghi; e anche le guardie private, cosicché sembra di essere sempre attorniati da persone che, simili a maggiordomi silenziosi, si stanno prendendo cura di te a debita distanza, sì, ma sempre e comunque presenti e rassicuranti.
E poi le persone, qui, sono gentili: sorridono se chiedi loro qualcosa, hanno visi ottimisti, sembrano sereni e hanno sul volto quell'espressione placida e tranquilla di chi conduce una vita sicuramente impegnativa ma, almeno, rassicurante.
Forse, chissà, conta il fatto che queste persone hanno ben poche preoccupazioni: lavorano sempre, tutti i giorni, parlano quasi sempre solo di soldi, sono attaccatissimi alle proprie attività, ma hanno tempo di dedicarsi a ciò che la più avanzata tecnologia permette loro di fare: e allora è tutto un delirio di telefoni cellulari ultra moderni, computer potentissimi mai visti prima, televisori al plasma da mille pollici ovunque, connessioni internet nei posti più impensati, centomila canali satellitari che trasmettono programmi da tutto il mondo.
Forse, chissà, ma è solo un mio pensiero, sono così sereni perché non hanno il diritto-dovere di votare; altri votano per loro e, in fondo, che al potere ci sia un Berlusconi, o un Fini, o un Bertinotti o un qualsiasi altro politico o politicante per loro non fa differenza: lasciano che i politici li guidino in questo loro percorso fatto di progressi continui e di scintillante futuro e pensano alle proprie vite e alle proprie attività. E, nel caso che qualche amministratore corrotto venga pescato con le mani nel sacco, almeno avranno la consolazione di sapere che è stato condannato a cent'anni di lavori forzati. O a morte.
Sto scrivendo da una camera di albergo al quarantasettesimo piano di un grattacielo di Shanghai, Cina, e dovrò presto tornare a Milano, Italia.
venerdì 7 novembre 2008
La fatica pesante di dire -ancora- delle parole
Ricordo me stesso bambino e la gioia di parole spensierate lanciate nel cielo e ricadenti su di noi come fiocchi di neve bianchissima e le nostre piccole mani come farfalle coloratissime di guanti di lana rossi e blu ad acchiapparle a mezz'aria e giocare a rimbalzarcele l'un con l'altro e le guance rosse e i ginocchi sbucciati e mia madre giovanissima al balcone ad aspettare il mio ritorno.
Ricadono, oggi, su di noi parole nuove ma senza gioia, come gocce grigie di pioggia autunnale che ci intride i cappotti e le spalle infreddolite.
E cresce la fatica pesante di dire -ancora- delle parole.
Ricadono, oggi, su di noi parole nuove ma senza gioia, come gocce grigie di pioggia autunnale che ci intride i cappotti e le spalle infreddolite.
E cresce la fatica pesante di dire -ancora- delle parole.
venerdì 31 ottobre 2008
L'orrore nella notte
Questa breve storia è liberamente ispirata all'opera di H.P.Lovecraft e ai suoi racconti dell'incubo.
Scrivo dalla mia piccola stanza bianca: sono seduto sul mio letto, le braccia strette al corpo da bende elastiche e la penna trattenuta a stento fra le dita tremanti . Fuori dalla porta imbottita d'acciaio bianche figure si muovono silenziosamente e sono certo che si prendono cura di me. Ma io so che un orrore indescrivibile e strisciante si aggira fra le vie di questa città e che nessuno potrà salvare la mia anima da forme di vita che noi esseri umani neppure riusciamo a immaginare e che vengono a noi da tempi remoti in cui questo mondo era governato da entità oscene a antichissime e che sono ancora fra di noi, e fra di noi si muovono invisibili per adempiere a un disegno a noi ignoto e imperscrutabile.
Per questo scrivo la mia storia: perché spero che queste mie righe possano aprire gli occhi dell'Umanità e che qualcuno, prestissimo, si renda conto che è necessario agire se si vuole salvare la nostra specie da orrori inimmaginabili. Ma bisogna fare presto e i Paesi e le Nazioni devono sapere e prendere subito decisioni improrogabili. Altrimenti sarà la fine e neppure Dio, ma esiste davvero Dio?, potrà salvare queste sue fragili creature da una dannazione eterna e orribile: loro si stanno muovendo e vogliono succhiare il nostro corpo e la nostra anima.
Era da qualche tempo, ormai, che alla mattina mi succedeva di svegliarmi con la vaga sensazione di una stanchezza strana, nuova, sottile, mai provata prima e che sembrava essere ogni giorno più presente.
Ricordo che aprivo gli occhi fra le lenzuola ancora umide di sudore e mi colpiva, immediatamente, quel senso di muscoli quasi doloranti che si accompagna solitamente a una breve corsa di città, quando in calzature inadatte e su marciapiedi scivolosi ci si trova costretti, perché in ritardo, a fare brevi corse per riuscire a prendere in tempo un tram di passaggio.
In più, alla sensazione sgradevole di muscoli ogni giorno più irrigiditi, si aggiungeva una prostrazione generale che mi pervadeva l'anima e lo spirito e che mi impediva, fin dall'inizio della giornata, di godere della bella stagione, del sole e del cielo terso di un settembre particolarmente mite.
La sensazione che provavo allora potrebbe essere ben descritta con la parola "svuotamento": era come se le energie vitali delle mie membra e del mio spirito rifluissero da dentro per disperdersi al di fuori del mio corpo, lasciandomi esausto e quasi incapace di porre in essere alcuna attività.
Scorrevano così i primi giorni del mio malessere, con il pensiero teso ad ascoltare i dolori nuovi del mio corpo e i cedimenti dell'animo con il timore, alla sera, di svegliarmi il giorno dopo ancora più dolorante, debole, svuotato e sempre più malinconico. E le mattine si susseguivano, una dopo l'altra, con i muscoli sempre più dolenti e lo spirito che, ogni giorno, si faceva più fiacco.
Preoccupato per le mie nuove e inusuali condizioni fisiche e per l'umore declinante, decisi finalmente di farmi visitare da un mio amico medico il quale, però, ci tenne a rassicurarmi sul fatto che tutto era sicuramente a posto e che il mio corpo non soffriva di nessuna malattia e che questa malinconia che mi opprimeva da qualche tempo e in concomitanza con i dolori delle gambe e delle braccia sarebbe sicuramente svanita nel giro di pochi giorni e che, in definitiva, il mio stato di apprensione estrema non trovava nessuna giustificazione: qualche bella passeggiata nel sole di settembre e la lettura di qualche buon libro mi avrebbero sicuramente guarito e sarei tornato ad affrontare la vita con la stessa serenità dei miei giorni migliori.
Eppure io sentivo e sapevo che qualcosa non andava e che le parole rassicuranti del mio vecchio amico non erano sufficienti a spiegare, razionalmente, il torpore crescente e quella stanchezza innaturale che ormai da due settimane accompagnavano i miei risvegli e rendevano faticose le mie giornate; così faticose, ormai, che fui costretto a chiedere al mio capo ufficio di potere prendere un breve periodo di riposo dal lavoro e cercare così di rimettere in sesto la mia salute sempre più cagionevole.
Ma, nonostante il riposo, succedeva che i miei risvegli diventassero sempre più difficili e sempre più dolorosi: alla sofferenza di gambe e braccia si erano da qualche giorno aggiunti dei piccoli lividi azzurri che comparivano qua e là sugli avambracci, sul petto e sulle gambe; e un diffuso pallore cominciava a manifestarsi sul mio viso smagrito dalla stanchezza; come naturale conseguenza, lo stato del mio umore peggiorava con evidenza di giorno in giorno e mi vidi, piano piano, precipitare in una situazione di estrema spossatezza fisica e mentale che sfiorava, ormai, un cupo sentimento di depressione profonda. Depressione che diventava addirittura disperazione ogni volta che mi guardavo nello specchio: due occhi incavati in orbite nere e profonde, un viso bianco con la pelle tirata sugli zigomi appuntiti, i capelli opachi come sfibrati e indeboliti e il naso che risaltava nel mezzo della faccia come il becco di uno sparviero erano una visione che rendeva ancora più insopportabile la mia condizione.
Fu alla terza settimana di questa crisi a cui non riuscivo a trovare nessuna spiegazione logica che, immerso nella lettura di un libro di medicina che trattava di malattie strane e misteriose, mi imbattei nella storia di un uomo che, cento anni prima, aveva sofferto la mia stessa dolorosa esperienza: per mesi -si leggeva nel libro- questo signore aveva sofferto, al risveglio, di dolori e di stanchezza estremi e, solo dopo un lungo periodo di apprensioni e sofferenze, un famoso medico di Londra, specialista in psichiatria, aveva prima diagnosticato e poi provato che l'uomo semplicemente soffriva di sonnambulismo, ovvero di quella misteriosa propensione che spinge alcuni esseri umani a camminare durante il sonno e a risvegliarsi nel proprio letto, spesso stanchi come dopo lunghe passeggiate, senza ricordare alcunché della propria ignota vita notturna.
Potete sicuramente immaginare la mia contentezza nel rendermi conto che, forse, avevo trovato una spiegazione logica alle mie strane esperienze delle ultime settimane e che, sicuramente, l'origine dei miei disturbi poteva essere un attacco di sonnambulismo: solo così si potevano spiegare i dolori ai muscoli, i lividi forse causati da urti accidentali contro oggetti resi invisibili dal buio notturno, il mio crescente pallore forse provocato dalla stanchezza generale che derivava dalla mia seconda vita notturna fatta di camminate e di chissà quali altre attività a me ignote e un certo senso di estraneità alla mia stessa mente e alla mia stessa anima che talvolta mi faceva pensare con orrore che il corpo e l'anima non fossero più miei, non mi appartenessero più.
Ormai rinfrancato dalla mia scoperta e con l'animo sollevato di chi crede di avere trovato finalmente una via di uscita dalle proprie elucubrazioni nocive e una spiegazione definitiva ai propri disturbi fisici e dello spirito, mi apprestai a mettere in atto un semplice ma definitivo esperimento che avrebbe, senza dubbio alcuno, dimostrato con tutta chiarezza la mia propensione al sonnambulismo e, di conseguenza, mi avrebbe spinto a rivolgermi a qualche specialista che mi avrebbe certamente suggerito una cura al mio disturbo: il semplice esperimento consiteva nello spargere, sul pavimento intorno al mio letto, un sottile strato di farina in modo che se, durante la notte, mi fossi alzato per incamminarmi fuori dalla mia stanza, la mattina successiva avrei potuto facilmente trovare le impronte dei miei piedi sulla farina avendo così la dimostrazione pratica e visibile del mio disturbo notturno.
Fu quindi una sera d'ottobre che misi in pratica il mio intendimento e, dopo essermi seduto sul letto, sparsi a terra qualche manciata di farina stando ben attento a ricoprire il più ampiamente possibile la superficie di pavimento che, dal mio giaciglio, portava alla porta della mia camera: tutto era quindi pronto per sollevare, finalmente, quel velo grigio di cupa disperazione che aveva accompagnato le mie ultime settimane e, con il migliore degli animi, mi addormentai in attesa di un risveglio che avrebbe finalmente dato risposta chiara ai miei dubbi e alquanto alleviato le mie irrazionali paure.
E fu proprio l'indomani mattina, al momento del mio risveglio, che ciò che vidi mi fece sprofondare nel più indicibile degli orrori da cui mai mi riprenderò e che ancora adesso, ogni volta che mi accingo a riposare per qualche breve ora agitata, mi si para davanti alla mente come a ricordarmi che non vi è speranza per me e per la mia anima perduta: ciò che vidi nella farina stesa sul pavimento, infatti, non fu l'impronta dei miei piedi, ma l'impronta di due enormi zampe di un'arpia gigantesca con spaventosi artigli assassini che si dirigevano verso il mio letto indifeso.
Scrivo dalla mia piccola stanza bianca: sono seduto sul mio letto, le braccia strette al corpo da bende elastiche e la penna trattenuta a stento fra le dita tremanti . Fuori dalla porta imbottita d'acciaio bianche figure si muovono silenziosamente e sono certo che si prendono cura di me. Ma io so che un orrore indescrivibile e strisciante si aggira fra le vie di questa città e che nessuno potrà salvare la mia anima da forme di vita che noi esseri umani neppure riusciamo a immaginare e che vengono a noi da tempi remoti in cui questo mondo era governato da entità oscene a antichissime e che sono ancora fra di noi, e fra di noi si muovono invisibili per adempiere a un disegno a noi ignoto e imperscrutabile.
Per questo scrivo la mia storia: perché spero che queste mie righe possano aprire gli occhi dell'Umanità e che qualcuno, prestissimo, si renda conto che è necessario agire se si vuole salvare la nostra specie da orrori inimmaginabili. Ma bisogna fare presto e i Paesi e le Nazioni devono sapere e prendere subito decisioni improrogabili. Altrimenti sarà la fine e neppure Dio, ma esiste davvero Dio?, potrà salvare queste sue fragili creature da una dannazione eterna e orribile: loro si stanno muovendo e vogliono succhiare il nostro corpo e la nostra anima.
Era da qualche tempo, ormai, che alla mattina mi succedeva di svegliarmi con la vaga sensazione di una stanchezza strana, nuova, sottile, mai provata prima e che sembrava essere ogni giorno più presente.
Ricordo che aprivo gli occhi fra le lenzuola ancora umide di sudore e mi colpiva, immediatamente, quel senso di muscoli quasi doloranti che si accompagna solitamente a una breve corsa di città, quando in calzature inadatte e su marciapiedi scivolosi ci si trova costretti, perché in ritardo, a fare brevi corse per riuscire a prendere in tempo un tram di passaggio.
In più, alla sensazione sgradevole di muscoli ogni giorno più irrigiditi, si aggiungeva una prostrazione generale che mi pervadeva l'anima e lo spirito e che mi impediva, fin dall'inizio della giornata, di godere della bella stagione, del sole e del cielo terso di un settembre particolarmente mite.
La sensazione che provavo allora potrebbe essere ben descritta con la parola "svuotamento": era come se le energie vitali delle mie membra e del mio spirito rifluissero da dentro per disperdersi al di fuori del mio corpo, lasciandomi esausto e quasi incapace di porre in essere alcuna attività.
Scorrevano così i primi giorni del mio malessere, con il pensiero teso ad ascoltare i dolori nuovi del mio corpo e i cedimenti dell'animo con il timore, alla sera, di svegliarmi il giorno dopo ancora più dolorante, debole, svuotato e sempre più malinconico. E le mattine si susseguivano, una dopo l'altra, con i muscoli sempre più dolenti e lo spirito che, ogni giorno, si faceva più fiacco.
Preoccupato per le mie nuove e inusuali condizioni fisiche e per l'umore declinante, decisi finalmente di farmi visitare da un mio amico medico il quale, però, ci tenne a rassicurarmi sul fatto che tutto era sicuramente a posto e che il mio corpo non soffriva di nessuna malattia e che questa malinconia che mi opprimeva da qualche tempo e in concomitanza con i dolori delle gambe e delle braccia sarebbe sicuramente svanita nel giro di pochi giorni e che, in definitiva, il mio stato di apprensione estrema non trovava nessuna giustificazione: qualche bella passeggiata nel sole di settembre e la lettura di qualche buon libro mi avrebbero sicuramente guarito e sarei tornato ad affrontare la vita con la stessa serenità dei miei giorni migliori.
Eppure io sentivo e sapevo che qualcosa non andava e che le parole rassicuranti del mio vecchio amico non erano sufficienti a spiegare, razionalmente, il torpore crescente e quella stanchezza innaturale che ormai da due settimane accompagnavano i miei risvegli e rendevano faticose le mie giornate; così faticose, ormai, che fui costretto a chiedere al mio capo ufficio di potere prendere un breve periodo di riposo dal lavoro e cercare così di rimettere in sesto la mia salute sempre più cagionevole.
Ma, nonostante il riposo, succedeva che i miei risvegli diventassero sempre più difficili e sempre più dolorosi: alla sofferenza di gambe e braccia si erano da qualche giorno aggiunti dei piccoli lividi azzurri che comparivano qua e là sugli avambracci, sul petto e sulle gambe; e un diffuso pallore cominciava a manifestarsi sul mio viso smagrito dalla stanchezza; come naturale conseguenza, lo stato del mio umore peggiorava con evidenza di giorno in giorno e mi vidi, piano piano, precipitare in una situazione di estrema spossatezza fisica e mentale che sfiorava, ormai, un cupo sentimento di depressione profonda. Depressione che diventava addirittura disperazione ogni volta che mi guardavo nello specchio: due occhi incavati in orbite nere e profonde, un viso bianco con la pelle tirata sugli zigomi appuntiti, i capelli opachi come sfibrati e indeboliti e il naso che risaltava nel mezzo della faccia come il becco di uno sparviero erano una visione che rendeva ancora più insopportabile la mia condizione.
Fu alla terza settimana di questa crisi a cui non riuscivo a trovare nessuna spiegazione logica che, immerso nella lettura di un libro di medicina che trattava di malattie strane e misteriose, mi imbattei nella storia di un uomo che, cento anni prima, aveva sofferto la mia stessa dolorosa esperienza: per mesi -si leggeva nel libro- questo signore aveva sofferto, al risveglio, di dolori e di stanchezza estremi e, solo dopo un lungo periodo di apprensioni e sofferenze, un famoso medico di Londra, specialista in psichiatria, aveva prima diagnosticato e poi provato che l'uomo semplicemente soffriva di sonnambulismo, ovvero di quella misteriosa propensione che spinge alcuni esseri umani a camminare durante il sonno e a risvegliarsi nel proprio letto, spesso stanchi come dopo lunghe passeggiate, senza ricordare alcunché della propria ignota vita notturna.
Potete sicuramente immaginare la mia contentezza nel rendermi conto che, forse, avevo trovato una spiegazione logica alle mie strane esperienze delle ultime settimane e che, sicuramente, l'origine dei miei disturbi poteva essere un attacco di sonnambulismo: solo così si potevano spiegare i dolori ai muscoli, i lividi forse causati da urti accidentali contro oggetti resi invisibili dal buio notturno, il mio crescente pallore forse provocato dalla stanchezza generale che derivava dalla mia seconda vita notturna fatta di camminate e di chissà quali altre attività a me ignote e un certo senso di estraneità alla mia stessa mente e alla mia stessa anima che talvolta mi faceva pensare con orrore che il corpo e l'anima non fossero più miei, non mi appartenessero più.
Ormai rinfrancato dalla mia scoperta e con l'animo sollevato di chi crede di avere trovato finalmente una via di uscita dalle proprie elucubrazioni nocive e una spiegazione definitiva ai propri disturbi fisici e dello spirito, mi apprestai a mettere in atto un semplice ma definitivo esperimento che avrebbe, senza dubbio alcuno, dimostrato con tutta chiarezza la mia propensione al sonnambulismo e, di conseguenza, mi avrebbe spinto a rivolgermi a qualche specialista che mi avrebbe certamente suggerito una cura al mio disturbo: il semplice esperimento consiteva nello spargere, sul pavimento intorno al mio letto, un sottile strato di farina in modo che se, durante la notte, mi fossi alzato per incamminarmi fuori dalla mia stanza, la mattina successiva avrei potuto facilmente trovare le impronte dei miei piedi sulla farina avendo così la dimostrazione pratica e visibile del mio disturbo notturno.
Fu quindi una sera d'ottobre che misi in pratica il mio intendimento e, dopo essermi seduto sul letto, sparsi a terra qualche manciata di farina stando ben attento a ricoprire il più ampiamente possibile la superficie di pavimento che, dal mio giaciglio, portava alla porta della mia camera: tutto era quindi pronto per sollevare, finalmente, quel velo grigio di cupa disperazione che aveva accompagnato le mie ultime settimane e, con il migliore degli animi, mi addormentai in attesa di un risveglio che avrebbe finalmente dato risposta chiara ai miei dubbi e alquanto alleviato le mie irrazionali paure.
E fu proprio l'indomani mattina, al momento del mio risveglio, che ciò che vidi mi fece sprofondare nel più indicibile degli orrori da cui mai mi riprenderò e che ancora adesso, ogni volta che mi accingo a riposare per qualche breve ora agitata, mi si para davanti alla mente come a ricordarmi che non vi è speranza per me e per la mia anima perduta: ciò che vidi nella farina stesa sul pavimento, infatti, non fu l'impronta dei miei piedi, ma l'impronta di due enormi zampe di un'arpia gigantesca con spaventosi artigli assassini che si dirigevano verso il mio letto indifeso.
giovedì 30 ottobre 2008
Questo nostro mondo cialtrone
Sono qui con le mani dietro alla schiena. Guardo la piazza da dietro i vetri di una lunga finestra di un ufficio silenzioso. E vedo migliaia di studenti incoscienti scalmanati sfilare esagitati nel frastuono di tamburi e urli megafonati, fra bandiere lanciate in aria e poliziotti in attesa di reggere l'assalto.
E cerco di vedere meglio quei visi di giovani italiani che marciano compatti verso la loro e la nostra rovina ultima e definitiva e vedo solo facce di bambini viziati in corpi di adulti falliti.
Nello stesso momento, a diecimila chilometri a Est, fra Hong Kong e Shanghai, fra Singapore e Taipei, milioni di studenti disciplinatissimi, come bachi da seta in bozzoli silenziosi, dormono otto ore di sonno in attesa del risveglio. E si preparano, pazienti, a governare da padroni questo nostro mondo cialtrone.
E cerco di vedere meglio quei visi di giovani italiani che marciano compatti verso la loro e la nostra rovina ultima e definitiva e vedo solo facce di bambini viziati in corpi di adulti falliti.
Nello stesso momento, a diecimila chilometri a Est, fra Hong Kong e Shanghai, fra Singapore e Taipei, milioni di studenti disciplinatissimi, come bachi da seta in bozzoli silenziosi, dormono otto ore di sonno in attesa del risveglio. E si preparano, pazienti, a governare da padroni questo nostro mondo cialtrone.
lunedì 27 ottobre 2008
Forza luminosa che irradiando dal viso
Sogno di svegliarmi, un mattino, e di farmi la barba con dinamite potentissima al posto del sapone e una sciabola malese invece del rasoio.
Solo così, chissà, nel fragore dinamitardo dei peli tagliati e negli scoppi successivi della lama affilatissima, potrò rigenerarmi in una freschezza nuova che mia dia, esplodendo come shrapnels nei mattini nebbiosi di questo ottobre che scorre languido, una forza luminosa che irradiando dal viso abbagli di luce meravigliosa questo mondo ingrigito.
Solo così, chissà, nel fragore dinamitardo dei peli tagliati e negli scoppi successivi della lama affilatissima, potrò rigenerarmi in una freschezza nuova che mia dia, esplodendo come shrapnels nei mattini nebbiosi di questo ottobre che scorre languido, una forza luminosa che irradiando dal viso abbagli di luce meravigliosa questo mondo ingrigito.
mercoledì 22 ottobre 2008
Un mondo antico che è morto e sepolto
Nel decumano di Milano, verso la piazza del Santo Sepolcro, strizzo gli occhi nello scuro degli angoli più bui e mi sembra di vedere, dietro alle grate delle cantine di vecchie case diroccate, ombre di fantasmi diafani di vecchi romani in tunica bianca e sandali di cuoio.
E mi pare, ma forse è un'ombra fugace o un'illusione dei miei occhi stanchi, che anche loro strizzino miopi i loro occhi millenari senza più vita per spiare con meraviglia dall'ombra delle tombe dimenticate questi moderni esseri umani camminare spavaldi sui vecchi marciapiedi di pietre squadrate.
E guardo sbigottito sulla strada moderna di questa Milano abitata di barbari, mamme vestite come bambine e bambine vestite come puttane passare ridendo fra ombre ormai mute di un mondo antico che è morto e sepolto.
E mi pare, ma forse è un'ombra fugace o un'illusione dei miei occhi stanchi, che anche loro strizzino miopi i loro occhi millenari senza più vita per spiare con meraviglia dall'ombra delle tombe dimenticate questi moderni esseri umani camminare spavaldi sui vecchi marciapiedi di pietre squadrate.
E guardo sbigottito sulla strada moderna di questa Milano abitata di barbari, mamme vestite come bambine e bambine vestite come puttane passare ridendo fra ombre ormai mute di un mondo antico che è morto e sepolto.
domenica 28 settembre 2008
Kevin
Mi chiamo Kevin e vivo a Trezzano sul Naviglio in provincia di Milano. I miei genitori sono della Calabria: mio papà ha quarantacinque anni e mia madre quaranta. Io ho dieci anni e peso ottantaquattro chili. Mia madre dice che è un problema della tiroide. Per il mio compleanno lo zio Santino mi ha regalato una tuta da ginnastica blu elettrica con su scritto Sport Power Iveco e la indosso ogni volta che posso perché anche il mio papà ne ha una uguale e quando andiamo all'Esselunga di Trezzano la mette sempre. Però per essere più elegante mette i mocassini. Anch'io vorrei i mocassini marroni come quelli del papà e infatti ho già chiesto alla mamma di regalarmene un paio per il mio onomastico; ma la mamma dice che mi ha già regalato il borsello porta cellulare con su la faccia di Batman e che quindi, per adesso, i mocassini possono aspettare. E poi dice che non esiste San Kevin e quindi niente onomastico e quindi niente regalo.
In fin dei conti sono un bambino felice: abbiamo una bella casa con dei bravi vicini di casa: anche loro sono della Calabria e li incontriamo sempre al Centro Commerciale alla domenica. Anche loro indossano una tuta come quella di mio padre, ma quella del papà è più bella perché è lucida e quando c'è luce riflette le lampadine.
Ti scrivo questa lettera perché ho letto il tuo blog e vedo che scherzi sempre i bambini grassi o ciccioni, come se fossero spazzatura umana schifosa oscena orribile che ti fa schifo solo a guardarla come se fosse colpa mia se quella deficiente della mia mamma mi dà sempre da mangiare quelle merendine orrende che mi hanno fatto ingrassare di 50 chili negli ultimi sei mesi e le gambe mi si sono stortate tutte e adesso sono diventate gambe a X e i miei compagni di klasse mi prendono per il kulo tutti i giorni e non riesko neanke a kamminare per ciento metri xché mi saltano i battiti del cuore e io mi sento morire e quei deficienti dei kompagni ke mi prendono in giro perché mi chiamo Kevin e allora mi kiamano Cicciobomba Kannoniere e io non posso neppure guardare le bambine della mia classe che ridono ogni volta perché dicono che ho la faccia da cretino con tutte le guance che sembrano gelatina rammollita sempre sporke di maionese e ke ho le dita delle mani come le salsicce del macellaio arabo che ha il negozio vicino a kasa nostra a Trezzano e allora preferisco stare a casa a guardare la TV che almeno si vedono i documentari con gli animali selvaggi e cieli azzurri e montagne meravigliose e isole lontane e popolazioni così diverse e almeno sogno di essere un bambino normale che possa andare in giro per il mondo e camminare senza dovere ansimare e guardare le bambine negli occhi e non vergognarmi di questo nome da circo che mi hanno messo addosso come una croce ed è cosi pesante da portare.
Mi chiamo Kevin, ho dieci anni e peso 84 chili. Sono un bambino felice e abito a Trezzano sul Naviglio in provincia di Milano.
In fin dei conti sono un bambino felice: abbiamo una bella casa con dei bravi vicini di casa: anche loro sono della Calabria e li incontriamo sempre al Centro Commerciale alla domenica. Anche loro indossano una tuta come quella di mio padre, ma quella del papà è più bella perché è lucida e quando c'è luce riflette le lampadine.
Ti scrivo questa lettera perché ho letto il tuo blog e vedo che scherzi sempre i bambini grassi o ciccioni, come se fossero spazzatura umana schifosa oscena orribile che ti fa schifo solo a guardarla come se fosse colpa mia se quella deficiente della mia mamma mi dà sempre da mangiare quelle merendine orrende che mi hanno fatto ingrassare di 50 chili negli ultimi sei mesi e le gambe mi si sono stortate tutte e adesso sono diventate gambe a X e i miei compagni di klasse mi prendono per il kulo tutti i giorni e non riesko neanke a kamminare per ciento metri xché mi saltano i battiti del cuore e io mi sento morire e quei deficienti dei kompagni ke mi prendono in giro perché mi chiamo Kevin e allora mi kiamano Cicciobomba Kannoniere e io non posso neppure guardare le bambine della mia classe che ridono ogni volta perché dicono che ho la faccia da cretino con tutte le guance che sembrano gelatina rammollita sempre sporke di maionese e ke ho le dita delle mani come le salsicce del macellaio arabo che ha il negozio vicino a kasa nostra a Trezzano e allora preferisco stare a casa a guardare la TV che almeno si vedono i documentari con gli animali selvaggi e cieli azzurri e montagne meravigliose e isole lontane e popolazioni così diverse e almeno sogno di essere un bambino normale che possa andare in giro per il mondo e camminare senza dovere ansimare e guardare le bambine negli occhi e non vergognarmi di questo nome da circo che mi hanno messo addosso come una croce ed è cosi pesante da portare.
Mi chiamo Kevin, ho dieci anni e peso 84 chili. Sono un bambino felice e abito a Trezzano sul Naviglio in provincia di Milano.
mercoledì 24 settembre 2008
Mondi distantissimi ormai morti e disfatti in polvere eterna
Mi guardo intorno stupefatto ad osservare questa massa ondivaga di esseri umani che si muovono come telecomandati da altrui volontà siderali automatiche distanti chissà quanto, forse miliardi di anni luce. E mi si disegnano nel pensiero immagini di milioni di piccolissime navicelle spaziali lanciate come semi e contenenti germi di uomini lanciate un trilione di anni fa da civiltà ormai dissolte da eoni e che, polvere i loro ideatori e costruttori, solcano con volo automatico gli spazi infiniti alla ricerca di un approdo. E mi immagino una navicella-uomo che sia caduta nella notte dei tempi su questa nostra Terra e abbia generato il frutto ormai marcito di questa nostra Umanità, ultima testimone abbandonata di mondi distantissimi ormai morti e disfatti in polvere eterna.
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giovedì 11 settembre 2008
Il sogno
Mi sveglio di soprassalto ancora oggi nel mio letto umido di sudore con un grido in gola nel ricordo della massa compatta del milione di motorini urlanti e delle nuvole azzurre di gas dei tubi di scappamento e del fragore dei motori imballati e del milione di facce con gli occhi a mandorla stretti in un ghigno malefico che, all'incrocio fra le due strade di Saigon, scattano in avanti come sola massa meccanica di ferro-uomo e sembra mi puntino come per passare sopra al mio povero corpo atterrito di occidentale che vuole attraversare la strada in una città che non è sua, non gli appartiene, gli è nemica.
Vedo, nel milione di uomini-macchina che scattano al semaforo, il segno di un futuro vicino fatto di miliardi di occhi a mandorla che governano il mondo sibilando fra denti bianchissimi e labbra aggricciate agghiaccianti ideogrammi 胜利,力量,霸权,中华,金钱 lanciati in avanti nell'aria umidissima e usati contro di noi come lame taglientissime di scintillanti kriss malesi.
Vedo, nel milione di uomini-macchina che scattano al semaforo, il segno di un futuro vicino fatto di miliardi di occhi a mandorla che governano il mondo sibilando fra denti bianchissimi e labbra aggricciate agghiaccianti ideogrammi 胜利,力量,霸权,中华,金钱 lanciati in avanti nell'aria umidissima e usati contro di noi come lame taglientissime di scintillanti kriss malesi.
sabato 16 agosto 2008
Si respira il Futuro della Terra
Scrivo da una sedia comodissima all'interno di un giardino tropicale con alberi di, credo, banane tutto intorno. Proprio vicino a me una fontana modernissima di alluminio dispensa, gratis, acqua
naturale refrigerata per chi avesse sete; più in là se ne scorgono altre, forse sono decine; mezz'ora fa ho fatto la doccia in una toilette arredata di pietre naturali grezze a pavimento e alle pareti; mi sono anche fatto la barba in un lavabo di vetro di design modernissimo e con rubinetti d'acciaio che sembravano baionette d'arditi schierate per l'assalto.
Tutto intorno a me, in corridoi e saloni di migliaia di metri quadrati, una moquette con decorazioni che ricordano foglie di alberi tropicali ricopre, morbidissima e pulitissima, ogni angolo di questa struttura enorme, futurista, tecnologica, fatta di vetro e acciaio. Sale attrezzate per mamme e bambini ospitano ciurmaglie entusiaste di piccole pesti che giocano con specie di ologrammi che vengono proiettati sul pavimento. Il luogo è affollatissimo di persone indaffarate ma sorridenti con bagliori entusiastici che scintillano dalle loro dentature bianchissime.
Parlano molte lingue e naturalmente anche l'inglese: pure il poliziotto, la signora delle docce, il barista indiano, la filippina che lava i vetri parlano inglese. Tutti sorridono, sempre, anche
quando chiedi un'informazione. E ti danno ascolto. Ci sono pochi europei e li si riconosce per l'aspetto generalmente trasandato, la postura svaccata, la barba di due o tre giorni, per la leggera
pinguedine che contraddistingue gli adulti e per l'oscena obesità che deturpa i corpi ormai sferici dei loro bambini.
Quelli del posto, invece, sono sempre vestiti, come dire?, normali: gli uomini hanno i
loro abiti e le donne portano la gonna, a tutte le età.
Gli italiani li riconosco senza neppure bisogno di sentirli parlare: sembrano mozzi di vascelli olandesi del '600 in libera uscita: pieni di tatuaggi, ricoperti di orpelli firmati del tipo di braccialetti con su scritto D&G, orecchini al naso e pezzi di ferro infilati in ogni parte del corpo: sono cafoni, sguaiati, parlano ad alta voce, dicono migliaia di parolacce e, naturalmente, bestemmiano. Sono giovani e danno l'idea di non capire neppure bene dove si trovino, ma si vede
benissimo che si sentono a disagio e, per insana reazione, fanno branco. Proprio adesso, vicino a me, si è sistemato un terzetto che si è messo a bere birra e la ragazza tiene i piedi sulla sedia.
Scrivo dall'aeroporto di Singapore, estremo Oriente di questo nostro Occidente che non c'è più, che è finito, che si perde in fasti ormai lontani, dimenticati e inutili e che non vuole saperne di riconoscere che, ormai, è finita. A Singapore c'è il mondo nuovo, quello del Futuro, quello che avrebbe potuto sognare F.T. Marinetti. C'è la Venezia Futurista fatta di ponti di vetro-acciaio che lui immaginava quando denunciava la Venezia passatista marcia e ormai disfatta. Ci sono i treni gratuiti e sopraelevati che ti portano, ogni due minuti, da un terminal all'altro. E ci sono le aree per fumatori, dove sei accolto come ogni altro passeggero e dove puoi alleviare la tensione di lunghe ore di volo fumando una sigaretta.
E poi c'è un'ultima cosa: qui non c'è la "democrazia": un signore, molto preparato, dirige e decide per tutti e le sue decisioni sono apprezzate da tutti, sembrerebbe. La gente sta bene, magari non
può votare per Luxuria o per Bossi o per Berlusconi o per Fassino o per Mastella ma la cosa che salta all'occhio, qui, è che la nostra democrazia finta, sgangherata, da operetta, fatta di cialtroni e per un popolo di cialtroni è destinata al ridicolo e al fallimento.
Qui, a Singapore, si respira aria di forza, di entusiamo, di ricchezza, di giovinezza, di voglia di vivere. Si respira il Futuro della Terra e di questa nostra Umanità.
naturale refrigerata per chi avesse sete; più in là se ne scorgono altre, forse sono decine; mezz'ora fa ho fatto la doccia in una toilette arredata di pietre naturali grezze a pavimento e alle pareti; mi sono anche fatto la barba in un lavabo di vetro di design modernissimo e con rubinetti d'acciaio che sembravano baionette d'arditi schierate per l'assalto.
Tutto intorno a me, in corridoi e saloni di migliaia di metri quadrati, una moquette con decorazioni che ricordano foglie di alberi tropicali ricopre, morbidissima e pulitissima, ogni angolo di questa struttura enorme, futurista, tecnologica, fatta di vetro e acciaio. Sale attrezzate per mamme e bambini ospitano ciurmaglie entusiaste di piccole pesti che giocano con specie di ologrammi che vengono proiettati sul pavimento. Il luogo è affollatissimo di persone indaffarate ma sorridenti con bagliori entusiastici che scintillano dalle loro dentature bianchissime.
Parlano molte lingue e naturalmente anche l'inglese: pure il poliziotto, la signora delle docce, il barista indiano, la filippina che lava i vetri parlano inglese. Tutti sorridono, sempre, anche
quando chiedi un'informazione. E ti danno ascolto. Ci sono pochi europei e li si riconosce per l'aspetto generalmente trasandato, la postura svaccata, la barba di due o tre giorni, per la leggera
pinguedine che contraddistingue gli adulti e per l'oscena obesità che deturpa i corpi ormai sferici dei loro bambini.
Quelli del posto, invece, sono sempre vestiti, come dire?, normali: gli uomini hanno i
loro abiti e le donne portano la gonna, a tutte le età.
Gli italiani li riconosco senza neppure bisogno di sentirli parlare: sembrano mozzi di vascelli olandesi del '600 in libera uscita: pieni di tatuaggi, ricoperti di orpelli firmati del tipo di braccialetti con su scritto D&G, orecchini al naso e pezzi di ferro infilati in ogni parte del corpo: sono cafoni, sguaiati, parlano ad alta voce, dicono migliaia di parolacce e, naturalmente, bestemmiano. Sono giovani e danno l'idea di non capire neppure bene dove si trovino, ma si vede
benissimo che si sentono a disagio e, per insana reazione, fanno branco. Proprio adesso, vicino a me, si è sistemato un terzetto che si è messo a bere birra e la ragazza tiene i piedi sulla sedia.
Scrivo dall'aeroporto di Singapore, estremo Oriente di questo nostro Occidente che non c'è più, che è finito, che si perde in fasti ormai lontani, dimenticati e inutili e che non vuole saperne di riconoscere che, ormai, è finita. A Singapore c'è il mondo nuovo, quello del Futuro, quello che avrebbe potuto sognare F.T. Marinetti. C'è la Venezia Futurista fatta di ponti di vetro-acciaio che lui immaginava quando denunciava la Venezia passatista marcia e ormai disfatta. Ci sono i treni gratuiti e sopraelevati che ti portano, ogni due minuti, da un terminal all'altro. E ci sono le aree per fumatori, dove sei accolto come ogni altro passeggero e dove puoi alleviare la tensione di lunghe ore di volo fumando una sigaretta.
E poi c'è un'ultima cosa: qui non c'è la "democrazia": un signore, molto preparato, dirige e decide per tutti e le sue decisioni sono apprezzate da tutti, sembrerebbe. La gente sta bene, magari non
può votare per Luxuria o per Bossi o per Berlusconi o per Fassino o per Mastella ma la cosa che salta all'occhio, qui, è che la nostra democrazia finta, sgangherata, da operetta, fatta di cialtroni e per un popolo di cialtroni è destinata al ridicolo e al fallimento.
Qui, a Singapore, si respira aria di forza, di entusiamo, di ricchezza, di giovinezza, di voglia di vivere. Si respira il Futuro della Terra e di questa nostra Umanità.
giovedì 31 luglio 2008
Brezza luminosa e freschissima che scende planando
Brezza luminosa e freschissima che scende planando dalla montagna verde ad accarezzare questo mio viso bianco e questo mio corpo stanco e che non riesce a trovare pace.
Brezza ravvivante che sembra portare con sé tintinnii argentei di voci lontanissime come di spiriti pagani e di elfi dei boschi e di ninfe giovanette e di antichissime divinità dimenticate da questi uomini moderni che tutto hanno scordato e che niente riconoscono più.
E nelle risate leggerissime che scendono con la brezza come suoni antichi di campanelli d'argento mi sembra di sentire una voce che dice, squillando liquida in una sommessa risata di bambino: "noi siamo qui da sempre e non da adesso, chi si scorda di noi scorda se stesso".
Brezza ravvivante che sembra portare con sé tintinnii argentei di voci lontanissime come di spiriti pagani e di elfi dei boschi e di ninfe giovanette e di antichissime divinità dimenticate da questi uomini moderni che tutto hanno scordato e che niente riconoscono più.
E nelle risate leggerissime che scendono con la brezza come suoni antichi di campanelli d'argento mi sembra di sentire una voce che dice, squillando liquida in una sommessa risata di bambino: "noi siamo qui da sempre e non da adesso, chi si scorda di noi scorda se stesso".
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lunedì 14 luglio 2008
Spaventosa visione blasfema
Spaventosa visione blasfema di migliaia di sederi nudi enormi di vecchie, allineati oscenamente a formare una massa rosa-giallognola come di dune sabbiose che avanzano inesorabili sospinte da un vento africano e maligno verso il mare blu cobalto.
Spiaggia equatoriale fatta di grasso e cellulite tremolante come budino alla crème caramel caramellato dal sole maligno che tutto brucia e tutto disinfetta definitivamente.
Schiere di migliaia di bagnanti bianchicce stese in riva al mare come legioni fantasma a guardare l'orizzonte vuoto dove un miraggio di fata morgana materializza, riflettendola nei roventi vapori d'una estate allo zenith, l'immagine simulacra della loro antica bellezza e sfiorita e quindi ormai perduta.
Sicut umbra fugit et inexorabilis questo tempo assassino e maligno.
Spiaggia equatoriale fatta di grasso e cellulite tremolante come budino alla crème caramel caramellato dal sole maligno che tutto brucia e tutto disinfetta definitivamente.
Schiere di migliaia di bagnanti bianchicce stese in riva al mare come legioni fantasma a guardare l'orizzonte vuoto dove un miraggio di fata morgana materializza, riflettendola nei roventi vapori d'una estate allo zenith, l'immagine simulacra della loro antica bellezza e sfiorita e quindi ormai perduta.
Sicut umbra fugit et inexorabilis questo tempo assassino e maligno.
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venerdì 11 luglio 2008
Linee statiche sferiche
Nel vagone della metropolitana di Milano, linea 1, parallelepipedo di ferro sotterraneo sparato ad altissima velocità in gallerie successive a sezione rettangolare, in un delirio di geometrie lineari e quadrangolari e in un pandemonio di stridii meccanici di ruote d'acciaio su rotaie d'acciaio, un blocco monolitico scolpito in linee statiche e rotondeggianti spicca per la sua idiotesca immobilità remotissima: è un bambino sferoidale di 100 chili che mangiucchia a brevi rapidi morsi un panino con formaggio e prosciutto: meravigliosa comunanza di linee sferiche fra il corpo-faccia del bambino e il panino tondeggiante ripieno; linee statiche sferiche e carnose come un osceno feto gigante rotondizzano la geometria angolare e spigolosa di un treno d'acciaio che viaggia a 100 chilometri all'ora nel caldo ventre materno della città.
Nota dell'autore: quando questa mattina ho visto questo bambino ho avuto il sospetto che si trattasse dello stesso di cui già avevo scritto qui
Nota dell'autore: quando questa mattina ho visto questo bambino ho avuto il sospetto che si trattasse dello stesso di cui già avevo scritto qui
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domenica 6 luglio 2008
Dinamodragone
Migliaia di cinesi energizzati al parossismo dinamicizzano in gruppi efficientissimi i due marciapiedi della via Paolo Sarpi e delle poche vie laterali mentre, tutto intorno, una asmatica Milano marocchina zingara bulgara rumena poltrisce rammollita adagiata sul terreno infetto cemeteriale di un glorioso passato attivissimo ma ormai lontanissimo, sepolto e putrescente.
Scie dinamiche di migliaia di piedi numero 35 in corsa disegnano ventiquattro ore al giorno traiettorie angolari energetizzanti nella rettilinea via scoccando mitragliamenti automatici di scintille altamente produttive che andranno poi ad alimentare, arricchendole, migliaia di formicolanti attività commerciali ultraredditizie concentrate in negozi di scarpe, borse, borsette, agenzie viaggio, centri massaggi, elettronica, ristoranti, bar, bordelli.
Nei pochi negozi italianissimi della via, misere insegne sciatte e scolorite penzolano inutili cigolando su teste decrepite di vecchie commesse ciccione pallide polverose inattive in orario sindacale 9-12/15-19 (chiuso il lunedì).
Scie dinamiche di migliaia di piedi numero 35 in corsa disegnano ventiquattro ore al giorno traiettorie angolari energetizzanti nella rettilinea via scoccando mitragliamenti automatici di scintille altamente produttive che andranno poi ad alimentare, arricchendole, migliaia di formicolanti attività commerciali ultraredditizie concentrate in negozi di scarpe, borse, borsette, agenzie viaggio, centri massaggi, elettronica, ristoranti, bar, bordelli.
Nei pochi negozi italianissimi della via, misere insegne sciatte e scolorite penzolano inutili cigolando su teste decrepite di vecchie commesse ciccione pallide polverose inattive in orario sindacale 9-12/15-19 (chiuso il lunedì).
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martedì 24 giugno 2008
Caldo solstiziale
E' arrivato il caldo a liquefare oscenamente i lunghi precisi pensieri ordinati costruiti con rigido gelo geometrico nei freddi mesi invernali. Rimarrà una scia blasfema maleodorante e marcescente a seguire come un cadavere fradicio i miei passi che sprofondano nell'asfalto liquido dei marciapiedi evaporati. E ogni volta che mi giro trovo gli occhi imputriditi dei pensieri invernali, assassinati da questo caldo solstiziale che tutto uccide e tutto ammorba.
domenica 23 dicembre 2007
Natale d'acciaio
Ai miei lettori, ai miei amici e ai miei nemici auguro un Natale d'acciaio iluminato da migliaia di luci elettriche scintillanti scaturenti giovani idee e forze nuove per un futuro maschio, operativo, geometrico.
Al bando le melancolie e il pessimismo pastasciuttaro ferragostiano; al bando gli unutili piagnistei italici; è necessario uno sforzo altissimo per far sì che questo Natale possa essere un Natale da ricordare: spenderemo dunque svariati biglietti da cinquanta euro per acquistare preziosissime vivande che preparino a un banchetto vero e degno di tal nome: caviale, salmoni, mille tipi di carni e di pesci, salumi pregiati, vini, champagne.
Buon Natale anche a tutti i bambini buoni. Ai bambini ciccioni, invece, tanti panettoni: con l'augurio che, magari, fra una macrofetta e l'altra, a qualcuno possa venire l'appendicite.
Al bando le melancolie e il pessimismo pastasciuttaro ferragostiano; al bando gli unutili piagnistei italici; è necessario uno sforzo altissimo per far sì che questo Natale possa essere un Natale da ricordare: spenderemo dunque svariati biglietti da cinquanta euro per acquistare preziosissime vivande che preparino a un banchetto vero e degno di tal nome: caviale, salmoni, mille tipi di carni e di pesci, salumi pregiati, vini, champagne.
Buon Natale anche a tutti i bambini buoni. Ai bambini ciccioni, invece, tanti panettoni: con l'augurio che, magari, fra una macrofetta e l'altra, a qualcuno possa venire l'appendicite.
lunedì 17 dicembre 2007
La Nuova Guerra Mondiale
Sogno la Nuova Guerra Mondiale, combattuta a suon di legnate e di lunghe scazzottate, ognuno solo col proprio bastone di legno e la forza dei pugni e niente altro.
Sogno campi di battaglia dove risuonano schiaffoni e calcioni, con crani pelati percossi da sonore bastonate e pance obese di impiegati inurbati battute come tamburi africani e urla selvagge e spaventose che si levano in un cielo annuvolato e con Dio che guarda e che ride delle miserie proletarie di questa umanità ormai perduta.
Sogno eserciti contrapposti e violentissimi, l'un contro l'altro armati, capitanati da casalinghe disperate e da ragionieri sudaticci; sogno fionde a migliaia per tirare sassi strappati dai nostri selciati cittadini; sogno catapulte primitive per scagliare sul nemico vecchie lavatrici abbandonate; sogno ragazzette schifiltose e straviziate all'assalto di trincee scavate in terra come tane di topi da migliaia di bambini ciccioni che si difendono a colpi di ceffoni; sogno contadini coi forconi che inseguono come prede di guerra mamme cittadine alla moda vestite come le figlie adolescenti e foruncolose; sogno scorrettezze e carognate; azioni arditissime e geometri imboscati; medaglie al valore e decimazioni selvagge.
Sogno la Nuova Guerra Mondiale che riporti su questa terra massacrata l'ordine naturale del più forte e del resistente. Vinca chi ha i muscoli e il coraggio, chi vale di più e chi ha il cervello più sviluppato e chi resiste al freddo e alla fame. E morte e vergogna ai deboli e inadatti, ai viziati e ai pavidi e a chi non resiste alla violenza e alla legge dura dei pugni e dei calcioni.
Sogno la Nuova Guerra Mondiale per ripartire da zero e risanare finalmente, con la calce viva del sangue e delle legnate, questo mondo morto e decomposto che ci ammorba con l'odore osceno e nauseabondo di tombe scoperchiate.
Sogno campi di battaglia dove risuonano schiaffoni e calcioni, con crani pelati percossi da sonore bastonate e pance obese di impiegati inurbati battute come tamburi africani e urla selvagge e spaventose che si levano in un cielo annuvolato e con Dio che guarda e che ride delle miserie proletarie di questa umanità ormai perduta.
Sogno eserciti contrapposti e violentissimi, l'un contro l'altro armati, capitanati da casalinghe disperate e da ragionieri sudaticci; sogno fionde a migliaia per tirare sassi strappati dai nostri selciati cittadini; sogno catapulte primitive per scagliare sul nemico vecchie lavatrici abbandonate; sogno ragazzette schifiltose e straviziate all'assalto di trincee scavate in terra come tane di topi da migliaia di bambini ciccioni che si difendono a colpi di ceffoni; sogno contadini coi forconi che inseguono come prede di guerra mamme cittadine alla moda vestite come le figlie adolescenti e foruncolose; sogno scorrettezze e carognate; azioni arditissime e geometri imboscati; medaglie al valore e decimazioni selvagge.
Sogno la Nuova Guerra Mondiale che riporti su questa terra massacrata l'ordine naturale del più forte e del resistente. Vinca chi ha i muscoli e il coraggio, chi vale di più e chi ha il cervello più sviluppato e chi resiste al freddo e alla fame. E morte e vergogna ai deboli e inadatti, ai viziati e ai pavidi e a chi non resiste alla violenza e alla legge dura dei pugni e dei calcioni.
Sogno la Nuova Guerra Mondiale per ripartire da zero e risanare finalmente, con la calce viva del sangue e delle legnate, questo mondo morto e decomposto che ci ammorba con l'odore osceno e nauseabondo di tombe scoperchiate.
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lunedì 10 dicembre 2007
Gocciola lenta e dolorosa
Gocciola lenta e dolorosa come l'infanzia lontana questa nebbia sottile che si scioglie su noi; gocciola come la fanciullezza ormai perduta e i ricordi vivissimi eppure già morti di giorni passati; gocciola triste sulla mia anima grigia mai guarita dalla arcigna malattia di esser bimbo in un corpo di vecchio. Ci smarriremo, chissà, un giorno in questa nebbia che ci addolora per trovarci, magari, in prati verdissimi color dello smeraldo sotto un sole meraviglioso che non scotta e non brucia. E ci parleremo, ancora, fra sorrisi tenerissimi di ciò che eravamo e ci terremo per mano con mani che non avremo ma saranno gli occhi, rimasti luminosi, a scoccare pensieri che non saranno più umani.
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