domenica 23 dicembre 2007

Natale d'acciaio

Ai miei lettori, ai miei amici e ai miei nemici auguro un Natale d'acciaio iluminato da migliaia di luci elettriche scintillanti scaturenti giovani idee e forze nuove per un futuro maschio, operativo, geometrico.
Al bando le melancolie e il pessimismo pastasciuttaro ferragostiano; al bando gli unutili piagnistei italici; è necessario uno sforzo altissimo per far sì che questo Natale possa essere un Natale da ricordare: spenderemo dunque svariati biglietti da cinquanta euro per acquistare preziosissime vivande che preparino a un banchetto vero e degno di tal nome: caviale, salmoni, mille tipi di carni e di pesci, salumi pregiati, vini, champagne.
Buon Natale anche a tutti i bambini buoni. Ai bambini ciccioni, invece, tanti panettoni: con l'augurio che, magari, fra una macrofetta e l'altra, a qualcuno possa venire l'appendicite.

lunedì 17 dicembre 2007

La Nuova Guerra Mondiale

Sogno la Nuova Guerra Mondiale, combattuta a suon di legnate e di lunghe scazzottate, ognuno solo col proprio bastone di legno e la forza dei pugni e niente altro.
Sogno campi di battaglia dove risuonano schiaffoni e calcioni, con crani pelati percossi da sonore bastonate e pance obese di impiegati inurbati battute come tamburi africani e urla selvagge e spaventose che si levano in un cielo annuvolato e con Dio che guarda e che ride delle miserie proletarie di questa umanità ormai perduta.
Sogno eserciti contrapposti e violentissimi, l'un contro l'altro armati, capitanati da casalinghe disperate e da ragionieri sudaticci; sogno fionde a migliaia per tirare sassi strappati dai nostri selciati cittadini; sogno catapulte primitive per scagliare sul nemico vecchie lavatrici abbandonate; sogno ragazzette schifiltose e straviziate all'assalto di trincee scavate in terra come tane di topi da migliaia di bambini ciccioni che si difendono a colpi di ceffoni; sogno contadini coi forconi che inseguono come prede di guerra mamme cittadine alla moda vestite come le figlie adolescenti e foruncolose; sogno scorrettezze e carognate; azioni arditissime e geometri imboscati; medaglie al valore e decimazioni selvagge.
Sogno la Nuova Guerra Mondiale che riporti su questa terra massacrata l'ordine naturale del più forte e del resistente. Vinca chi ha i muscoli e il coraggio, chi vale di più e chi ha il cervello più sviluppato e chi resiste al freddo e alla fame. E morte e vergogna ai deboli e inadatti, ai viziati e ai pavidi e a chi non resiste alla violenza e alla legge dura dei pugni e dei calcioni.
Sogno la Nuova Guerra Mondiale per ripartire da zero e risanare finalmente, con la calce viva del sangue e delle legnate, questo mondo morto e decomposto che ci ammorba con l'odore osceno e nauseabondo di tombe scoperchiate.

lunedì 10 dicembre 2007

Gocciola lenta e dolorosa

Gocciola lenta e dolorosa come l'infanzia lontana questa nebbia sottile che si scioglie su noi; gocciola come la fanciullezza ormai perduta e i ricordi vivissimi eppure già morti di giorni passati; gocciola triste sulla mia anima grigia mai guarita dalla arcigna malattia di esser bimbo in un corpo di vecchio. Ci smarriremo, chissà, un giorno in questa nebbia che ci addolora per trovarci, magari, in prati verdissimi color dello smeraldo sotto un sole meraviglioso che non scotta e non brucia. E ci parleremo, ancora, fra sorrisi tenerissimi di ciò che eravamo e ci terremo per mano con mani che non avremo ma saranno gli occhi, rimasti luminosi, a scoccare pensieri che non saranno più umani.

sabato 1 dicembre 2007

Il tram numero 14

Plebaglia suburbana e subproletaria fusa in una unica semovente ributtante formazione compatta parallelepipeda di carne inscatolata in tre vagoni lerci pseudofutiristici di un tram verde marcio progettato da ingegneri-geometri idioti e diretto sferragliante come barca putrida di Caron Dimonio occhi di bragia a traghettare anime morte di centinaia di passeggeri illividiti da luci al neon verdastre nella centrale via Torino. Accozzaglia antiomogenea di razze disordinate raggrumate un un acido brodo disgustoso che mi fa sentire marziano verde-tram proiettato da anni luce di distanza e sparacchiato a tradimento nel gorgo scientificamente previsto di un maelstrom osceno rivoltante di brutte facce, brutti vestiti, brutte lingue, brutti odori, brutti uomini, brutte donne. Vivo non sperando in un mondo che non è più mio, tuo, nostro. Vivo sul tram numero 14, navicella ributtante di scorie repellenti da sparare sùbito, già domani mattina, con dinamite superpotenziata sulla superficie marziana.
Nel frattempo nella luminescente, gelida, sfavillante via Dante, coppie diamantate di russi superbamente ricchi solcano altezzosi e colbaccati la viscida marea di folla ondivaga rimbalzandosi a fior di labbra incomprensibili e glaciali "да" e "нет".

venerdì 30 novembre 2007

Я твой слуга, я твой работник

In un delirio di stridii meccanici e di tonfi di masse di ferro-acciaio sotto sforzo continuo, la centrale elettrica lavora e genera energia. Migliaia di lavoratori-schiavi-sindacalizzatissimi fibrillano laminando turni di otto ore di lavoro e sedici di riposo per garantire il flusso energizzante di miliardi di megawatts che viene poi industrialmente imbottigliato in cavi sottilissimi di rame che come tendini e nervi di un corpo umano sotterraneo e gigantesco percorrono il sottosuolo invisibile.
A centinaia di chilometri di distanza, nella via Montenapoleone, donne italiane abbronzatissime inguainate in scintillanti pellicce milionarie di visoni e cincillà sfilano a braccetto incuranti e incoscienti di tutto sciabolando sorrisi bianchissimi sotto una cascata elettrica battente e scrosciante di luminarie natalizie multicolori. Ricchissimi cagnolini-topo le accompagnano incappottati in preziosissima lana di cachemire rosso e oro.

mercoledì 21 novembre 2007

Tempesta elettrica che schiocca lampi e fulmini

Tempesta elettrica terribile che schiocca lampi e fulmini sulla città nera di pioggia, sulle strade vuote, sulle case eterne, sulla mia finestra sbarrata. Guardo fuori dalle persiane, spio il cielo arroventato da milioni di saette scagliate giù a manciate con rabbia e con violenza da un dio tremendo antico infuriato e che ci odia, non ci vuole più, non ci riconosce più.
Milioni di fulmini, di scariche elettriche, di volt, di watt, di ampère: dalle persiane guardo questa fine del mondo elettrica spaventosa che non ci lascia scampo e che mi assorda con il rombo dei tuoni e il fragore dei lampi mitragliati con perfidia come su un campo di battaglia.
Ma vedo bene? Da dietro alla mia persiana, nella strada deserta spazzata da un vento che fischia terrore, con l'asfalto luccicante che riflette un marasma di miliardi di scariche elettriche mortali, un giovanotto ingrassato e con le gambe storte cammina ingobbito nella tempesta malvagia: nella mano sinistra un pacchetto di patatine fritte calde e fumanti, nella mano destra un cellulare che tiene attaccato all'orecchio. Ride. E parla coi suoi amici. Dà appuntamenti per il prossimo aperitivo al solito posto e alla solita ora. E parla spensierato, ride incosciente, allegramente affronta -senza paura- la tempesta elettrica che squassa la città.
Brilla nel buio della notte malvagia un'antenna di telefono cellulare; trilla nel fragore di questo incubo tremendo una risata argentina; si diffonde nel vento turbinante di tempesta profumo di patatine fritte. Ed ecco, un fulmine potentissimo, di forse cento milioni di volt, s'abbatte sull'antenna del cellulare del giovanotto telefonico ingrassato e ridente. Un dio tremendo ma finalmente sazio si ritira appagato fra le nuvole inferocite mentre un grasso mucchietto di cenere bruciante si disperde nel vento della notte.

Ero stato a trovarti, sai

Ero stato a trovarti, sai, quella sera di settembre, nella tua stanza con il rame alle pareti, lucido, pulito, scintillante com'eri sempre stata tu.

Ero stato a trovarti nella tua stanza preferita, dove una volta mi toglievo il cappotto e mi sedevo al camino e mi offrivi il tuo tè, e i tuoi biscotti fatti in casa, con il burro e con la panna e mi parlavi del passato, e di quello ch'era stato, della vita che se ne andava e di chi non c'era più. E mi parlavi di te, e ti parlavo di me e gli inverni passavano così, in quella stanza calda e così bella, con le fiamme del camino che accendevano il rame e il tuo volto così rosa.

Ero stato a trovarti, sai, alla sera, quand'eri ormai rimasta sola nella stanza preferita, con il rame alle pareti ma il camino che era spento; e tu eri lì con il viso così bianco e i capelli pettinati e le forcine ordinate e il vestito elegante che dicevi con orgoglio d'aver comprato a Milano prima che cambiasse tutto quel settembre di quaranta anni fa.

E ti rivedo ancora, così chiara nei miei occhi, quaranta anni fa, ti rivedo come fosse proprio adesso, che correvi inciampando sulla strada polverosa che scendeva verso il fiume coi capelli spettinati e quel tuo vestito nero, e urlavi disperata "el mè Paolin, el mè pinìn!" e le donne del paese che correvano con te e urlavano con te e piangevano con te quel tuo figlio sfortunato, quel tuo figlio annegato e portato in processione su dal fiume come un Cristo crocifisso con le braccia spalancate e i capelli gocciolanti e quel viso così bianco e la bocca martoriata e i denti spezzati e le labbra insanguinate.

Ero stato a trovarti, sai, quella sera di settembre, nella tua stanza preferita con il rame alle pareti, dove tu mi offrivi il tè , per il mio ultimo saluto, per la mia ultima carezza su quel tuo viso così bianco, sbiancato da una vita di dolore che t'aveva segnata, consumata e alla fine abbandonata.

giovedì 15 novembre 2007

Sono chiuso in questo cubo

Sono chiuso in questo cubo.
Le braccia lunghe sui braccioli
le mani a tenaglia sul legno
consumato.
La testa schiacciata indietro
gli occhi obliqui e tirati
come per la troppa velocità.
Mi sembro uomo proiettile
sparato nello spazio
che vola a mille all'ora
in attesa del bersaglio.
Volo dritto in avanti
in linea rettilinea
senza fare una curva
nessuna deviazione.
Volo incontro al mio bersaglio
nel mio cubo abitacolo
faccio il conto
alla rovescia
in attesa dell'impatto.

Sono nella mia casa
sulla mia poltrona bianca.
Guardo la televisione.
Aspetto che giunga il sonno.

martedì 6 novembre 2007

Lacrime invisibili e amare

Oggi, in tram, mi sono accorto di una cosa che avevo sotto gli occhi da chissà quanto tempo e a cui non avevo mai fatto caso. Dev'essere questo dinamismo che accompagna la mia vita a non avermi fatto osservare un fenomeno che, eppure, non è possibile non notare; dev'essere questo mio camminare troppo in fretta, sempre; dev'essere questo mio passo urbanizzato da uomo metropolitano di pianura che mi fa passare troppo veloce sui marciapiedi, che mi obbliga a percorrere centro metri in venti secondi, battendo rapido coi tacchi sulle pietre sconnesse di queste vie del centro; dev'essere lo sguardo sempre rivolto in avanti, al futuro geometrico che mi si para di fronte agli occhi ogni volta che, al mattino, esco di casa e già vedo, come disegno tecnico precississimo su un foglio bianco candidissimo, il futuro della mia giornata. Certo, vedersi sempre davanti agli occhi un disegno tecnico, mentre cammino, mentre salgo sul tram, mentre scendo in metropolitana, deve avermi impedito di vedere la cruda e orripilante realtà, e questa realtà vera, innegabile, violenta è che non ci sono più gonne. O meglio: non ci sono più donne che indossano gonne.
Me ne sono accorto proprio stamattina: ovunque io girassi gli occhi (per qualche motivo il disegno tecnico era momentaneamente assente) vedevo donne, ragazze, bambine che, in vece delle solite gonne corte, medie o lunghe a cui ero abituato, vestivano pantaloni.
Voi direte che è cosa normale, che le donne vestono pantaloni da molti anni, e che questa cosa è buona e giusta e che non vi è motivo per cui una donna non possa indossare un bel paio di pantaloni: forse che gli uomini non portano i pantaloni e lo fanno in maniera dignitosissima?
Certo, sono d'accordo e non posso sollevare obiezioni: le donne possono portare i pantaloni e, indubbiamente, li portano.
E allora ecco che, nel tram sovraffollato arrancante sferragliante è tutto un vibrare di sederi enormi, osceni, metafisici nella loro sproporzione; un mare agglutinante di carni inutili, di chilogrammi ridondanti; una massa incalcolabile di gutei devastati dall'informe assalto di ciccia, grasso, cellulite. Un oceano quasi semovente di pantaloni mal tagliati a contenere senza ritegno oceani orribili di sederi di donne ciccione, sfericizzate dalla pastasciutta col pomodoro, dalle poltrone televisive, dall'inamovibilità assoluta che domina la loro vita.
Ma ogni tanto, rarissimamente, nell'oceano dell'oscena pinguedine che tutto rende disarmonico e che tutto contagia come in un lazzaretto in cui la peste si diffonde e macera le carni di malati senza speranza, ecco che, come a salvare questi appestati ormai morti, appare la visione sublime, femminile, agile e balzante di una giovanissima italiana che, fasciata nella sua meravigliosa gonna elegantissima che ricopre glutei perfetti ricavati da ore di palestra meccanica, agilmente su tacchi a spillo sottilissimi d'acciaio sale sul tram con un elastico saltello.
Intorno, con occhi bovini, decine di fanciulle amorfe e con pantaloni alla moda piangono lacrime invisibili e amare,

La tomba di Marinetti

Ho visitato, il 2 novembre e aprofittando della mia visita al Cimitero Monumentale di Milano, la tomba di Marinetti.
E' singolare come di questa sepoltura si trovi pochissimo persino su internet; neppure nel sito del Cimitero Monumentale vi è traccia del poeta e, scorrendo la voce "sepolture famose" o "personaggi illustri" non se ne ricava nessun indizio.
Ho quindi dovuto chiedere negli uffici del cimitero dove il Marinetti sia sepolto: l'impiegato, naturalmente, non sapeva chi Marinetti fosse e ha dovuto consultare il suo archivio.
La tomba è piccola, a terra, si trova nel campo 4, a destra del viale centrale che dal Famedio si diparte perpendicolare verso il centro della necropoli. Una tomba modesta, ricoperta di una lastra di bronzo decorata ai lati con delle greche di sapore vagamente floreale: insieme a Marinetti riposano, nella stessa sepoltura, il padre e la moglie. Mi ha accompagnato, mentre osservavo la tomba, un vago sorriso nell'immaginare quanto al Marinetti una tomba così fatta potesse essere odiosa, con quel sentore di "liberty" che lui disprezzava.
Una tomba piccola quasi anonima, mentre intorno è uno svettare di monumenti d'architettura razionalistica e futurista: strano destino che il fondatore di quel movimento grandioso riposi in una così piccola e anonima sepoltura.
Marinetti morì il 2 dicembre 1944 a Bellagio, proprio nel mezzo del lago di Como: fu sepolto con funerali solenni pochi giorni dopo, mentre a Milano infuriavano i bombardamente alleati che, nel 1942, avevano colpito proprio quello stesso cimitero, con scempio di sepolture e di monumenti funebri.
Sulla tomba una scritta semplice: Filippo Tommaso Marinetti. Poeta.

lunedì 5 novembre 2007

Il battito

Ed ecco, batte ancora di notte una mano sull'uscio di quella vecchia casa deserta che si vede sola laggiù in fondo alla pianura, dietro alla nebbia che sale leggera e copre i rovi e i muri marciti dal tempo e il cancello di ferro battuto. E' un battito che sento ogni sera, ogni volta che arriva la notte, ogni volta che sale la nebbia e cala il silenzio sulla valle e sul fiume.

E' un battere ritmato, distante ma nitido di nocche inquiete sulla porta di legno: lo sento distintamente e non riesco a ignorarlo, lo ascolto e trattengo il respiro, mentre mi rizzo attento sulla vecchia sedia a dondolo su questo terrazzo che vede la valle.
E batte quella mano per chiamare qualcuno che non c'è, che abitò là cent'anni fa, che sedeva su quelle sedie a consumare un pasto solitario fatto di pane e vecchio formaggio.
Sento il battito rimbalzato dalla distanza e rabbrividisco nel freddo d'ottobre, mi stringo nella mia coperta di lana rossa, aguzzo i timpani ormai sordi per sentire se oggi, in questa nuova notte di nebbia, ci sarà una risposta, un segno di vita. Ma so già d'aspettare un suono che non verrà, che non verrà mai, c'è solo quel battito sul legno già marcio di quell'uscio lontano.

E rivedo nei miei occhi ciechi chiari bambini ridenti e allegri sciamare da quella stessa porta in una giornata splendente d'estate e correre a perdifiato verso il fiume... cent'anni fa....

mercoledì 31 ottobre 2007

Mi giro di scatto sorpreso

Mi giro di scatto sorpreso
sentendo quel suono
schioccato dal nulla;
mi osservo stupito a cercare
con gli occhi
un'ombra che fugge
e abbia fatto rumore.

Nessuno.

Eppure fantasmi di vecchie
persone ormai dissolte
dal tempo passato
camminano a fianco
delle mie gambe malate,
in questa via di pietre
squadrate.

E risento quelle voci antiche
di donne
tornare dal fiume
e cantare canzoni di amori lontani;
e zoccoli che picchiano
sulla strada di sassi
e bambini gridare
e cacciare lucertole.
E i canti sguaiati
di sera di vecchi ubriachi.

Sono rimaste le voci dei morti.
In questo paese coperto dai rovi.

martedì 30 ottobre 2007

Alzo veloce la testa

Alzo veloce la testa
che scatta
sul vuoto lavabo
a guardare lo specchio
che guarda quest'uomo
che si rade al mattino.

Scattano fulminee le pupille
a bloccare l'immagine addensata
nei vapori dell'acqua bollente
che scorre
dal metallo rovente
del rubinetto d'acciaio.

E vedo ombre di donne
che danzano al tramonto
contro la luce morente
d'un'estate già morta
con gambe sottili
e tacchi di spillo
e musica che cade
dall'alto del nulla.

Danzano in bianco e nero
ombre di vita passata,
non sento più nulla
non vedo più nulla,
solo la testa
che scatta in avanti
e le occhiaie perplesse
di me che mi rado.

lunedì 29 ottobre 2007

Il cagnolino e il bambino

Commovente mammina tenerissima che incita il figlioletto innocente a guardare con affetto quei cartoni animati con gli animali disegnati come bravissime persone umanissime: orsi bianchi parlanti, cagnolini intelligenti, ippopotami sorridenti, coccodrilli dolcissimi, cavalli paternissimi. Colorata creativa rasserenante Arca di Noè di amicissimi dei bambini, così buoni e comprensivi, "gli animali sono più buoni delle persone, bambino mio"; e le merendine televisive con su la faccia dell'orso grizzly che sorride simpaticissimo e che dice "sono amico dei bambini"; e il giocattolino così carino a forma di pitone che sibila tenerissimo all'orecchio dell'infante "tienimi sempre con te, sono il tuo fratellino"; e i cartoni animati con il gufo e la civetta, e il lupo amicone e la faina così carina.
Sono tutti buoni e tenerissimi questi piccoli animalini, così bravi ed amiconi, fratellini dei bambini con quei visi così umani e i sorrisi rassicuranti.
Ed ecco, leggo oggi sul giornale: "bambino tenerissimo sbranato dal cagnolino simpaticissimo, cento punti di sutura sul suo viso rosa e fresco".

venerdì 26 ottobre 2007

La cassa di plastica bianca

L'oratore sindacale, al culmine dell'adunata o-ce-a-ni-ca che riempe la piazza, mitraglia come una batteria di missili katyusha mille parole al secondo sparandole ad alzo zero sulla massa proletaria suburbana di pensionati-studenti-lavoratori convenuti in formazioni a testuggine da tutta Italia: diecimila parole scrosciano secche come fuoco di sbarramento di mitragliatrici leggere da trincea; sbuffano eruttando dalla bocca urlante dell'oratore sindacale nuvole sulfuree urticanti di polvere da sparo alitate a forza a schiaffeggiare il milione di teste-facce in blocchi massicci cubici di purissimo fulminato di mercurio schioppettante; raffiche verbali secche da plotone di esecuzione investono la massa informe plebea delle centurie osannanti dei pensionati-studenti-lavoratori convenuti de-mo-cra-ti-ca-men-te per manifestare ci-vil-men-te contro i pa-dro-ni.
Finisce fra centomila bandiere rosse-verdi-arancioni-gialle l'urlo finale decisivo dell'oratore-mitraglia che si ritira trionfante arretrando come su binari metallici dal palco di mille metri quadrati; immediatamente dieci ingegneri elettronici-meccanici in guanti bianchissimi mettono al sicuro, come reliquia preziosissima, la testa meccanica di alluminio e titanio lucidissima dell'oratore-mitraglia: centomila circuiti elettronici surriscaldati nelle mandibole metalliche vengono disabilitati; ripiegata la maschera precississima simile a carne vera umana; l'operatore radio disattiva il telecomando a distanza: l'oratore-mitraglia si spegne con precisione: una cassa di plastica bianca lo accoglie in attesa di una nuova piazza gremitissima osannante.

mercoledì 24 ottobre 2007

Pioggia finissima verticale

Pioggia finissima verticale sui nostri ombrelli firmati, sui nostri cappotti milanesi, sui nostri abiti gessati, sulle belle scarpe lucidate dalle nostre filippine affezionate.
Piove sulla città morta, sui monumenti dimenticati, sulle statue senza nome, sulle vecchie case diroccate, sulle lapidi inutili, sui tram centenari, sui marciapiedi sgangherati.
Piove su una Milano vecchia, abbandonata, stanca, ammalata e che non vuole più camminare; piove sui cimiteri, sui funerali, sugli ospedali: piove sui ruderi di ciò che siamo stati.
Non smetterà mai di piovere, questa pioggia finissima verticale.

venerdì 19 ottobre 2007

Il panino terapeutico

Una carovana di giovanissimi turisti americani, transumante caravanserraglio antigeometrico in continuo movimento zigzagante fra monumenti di un'italianità ormai morta e plebei Mac Donald massificatori, attraversa disordinatamente la via Dante in uno sfavillio ottobrino di sole quasi pallido ma luccicante.
La mandria mobile si estende per forse 200 metri: il capobranco-pastore mangia un panino imbottito, altri 200 giovanissimi lo imitano; chiude la fila dei 201 panini imbottiti un bambino coi capelli arancioni e vestito da pappagallo: pantaloni gialli e rossi a righe, maglia rossa e gialla e arancione a disegni cachemire. Il bambino divora, ignaro di ciò che gli si muove intorno, un panino imbottito doppio con salsicce e mayonnaise. Pesa forse 90 chili: solo, in coda al gregge, non riesce a tenere il passo dei suoi più agili compagni che si allontanano da lui i-ne-so-ra-bil-men-te, lasciandolo solo in una città a lui sconosciuta e nemica, lontano dalla sferica madre in perenne pensiero: "are you eating enough?".
Il pappagallo-bambinone, icona oscena rivoltante del moderno globale binomio Mac Donald-ottundimento cerebrale, si rende conto di essere rimasto indietro e abbandonato e ha paura. Tonde lacrime come trasudanti dalla sua liscia faccia rosa rotolano fragorosamente sulla pancia, sulle mani, sui vestiti giallo-rosso-arancioni; piange sul proprio miserabile abbandono, piange divorato dalla nostalgia della sfero-mamma così lontana, così dolce, avvolgente. Per consolare la sua giovane anima ferita, il bambino arancione si siede sui piedi del monumento di Dante ed estrae meccanicamente dal suo zaino una panino con trippa e porchetta.
Nel luccicante ma morente sole di ottobre, un bambino di 90 chili piange mille sferiche lacrime di dolore e solitudine: mille chilocalorie entrano in lui come flusso rassicurante di lontane carezze morbide materne.

venerdì 12 ottobre 2007

Futuro scolastico agilissimo educativo

Noi vogliamo che i giovani italiani siano studenti preparatissimi, intelligentissimi, studiosissimi.
Noi vogliamo che i giovani italiani possano competere, superandoli, con i loro colleghi del Nord Europa, attualmente superiori in preparazione, intelligenza, studio.
Noi vogliamo che le scuole italiane generino i futuri governanti dell'Europa Unita: per fare questo vi è bisogno di preparazione, intelligenza, studio, applicazione.
Noi vogliamo che i giovani del Nord Europa, attualmente superiorissimi alla attuale pigra e molle generazione di migliaia di inebetiti italiani ipertrofici, figli unici, viziati, mangiapastascuitta, deboli, delicatissimi, ignoranti, fragilissimi tornino a guardare alla nostra gioventù con il rispetto e l'ammirazione che essa merita.
Per questo noi dobbiamo abbattere la attuale scuola che premia gli scioperi, le inutili manifestazioni, i vizi, le debolezze, e l'ipertrofica gobbosità mentale di studenti svogliati, pigrissimi, nullafacenti.

Per questa necessità noi lanciamo l'inaudita proposta:
- scuole elementari dove si impari a leggere e fare di conto;
- scuole medie dove ogni studente italiano possa capire se sia meglio smettere di studiare e andare a lavorare o continuare nel difficile percorso dell'apprendimento; per questo sarà necessario lo studio della grammatica, della sintassi, della lingua e della letteratura italiane, della storia, della geografia, dell'algebra, delle scienze naturali e della educazione civica;
- liceo dove, in tutti i diversi e possibili indirizzi, sia obbligatorio lo studio del greco antico e del latino, strumenti indispensabili all'ottenere una necessaria agilità del cervello che possa contrastare l'obesa statica immobilità di adolescenti pigrissimi ciccioni e mangiapastasciutta; lo sforzo dello studio aiuterà nel bruciare le calorie gocciolanti da masse inebetite di trippe giovanili debordanti da pantaloni alla moda;
- università dove i giovani italiani siano obbligati a passare metà del periodo di studio presso atenei svizzeri, tedeschi e finlandesi.

In tutti i gradi e ordini di scuola sarà obbligatorio l'uso di grembiuli bianchi per le femmine e neri per i maschi.

Solo così i giovani italiani governeranno la povera malata cialtrona Italia e contribuiranno a governare la giovane Europa.

I due cani neri

Appare tutte le mattine, alla stessa ora, e viene dal fondo del parco dove la nebbia sale leggerissima prima che un pallido sole d'ottobre la porti via. E' un uomo alto, magrissimo, si muove agile, avanza elegante lentamente: un mantello nero lo copre fino ai piedi e confuso nella nebbia del primo mattino cammina verso di me. Al guinzaglio due grandi cani neri lo precedono tenendo il suo stesso passo agile e vellutato e si confondono nel grigio della nebbia e dell'erba autunnale.
Li vedo tutte le mattine, neri, silenziosi, solitari, l'uomo e i suoi due cani coi denti bianchi e gli occhi luminosi che riflettono la nebbia. Si avvicinano senza dare idea di vedermi, mi passano accanto, si allontanano verso la macchia di antichi faggi che avranno ormai cento anni.
E, d'improvviso, anche oggi, come tutte le mattine, l'uomo e i suoi due cani neri diventano nebbia e come spiriti di morti svaniscono nel grigio di questa aurora di piombo che muore prima del sorgere del sole.
Sto qui ogni giorno, nel parco, ad aspettare l'uomo con i cani, per vedere se riesco a capire, se posso immaginare la verità, se trovo una qualsiasi risposta. Ma l'uomo vestito di nero sfugge tremolando nella nebbia d'ottobre coi suoi cani dai denti bianchissimi e gli occhi d'acciaio.

martedì 9 ottobre 2007

Il Minareto d'Alluminio

Siede da ormai cent'anni nella stessa poltrona scarna senza braccioli, cucita di cuoio antico, consunta dalle giornate trascorse senza sosta a governare con dita agilissime di pelle diafana i comandi di fronte: ruota manopole, tocca interruttori, sfiora leve d'acciaio, calibra manometri e strumenti. Controlla la città dall'alto del Minareto d'Alluminio. A trecento metri d'altezza, attraverso vetri splendenti, vede le case e le fabbriche, e le automobili che sfrecciano, e i treni passare veloci e milioni di uomini e di donne là in basso, sotto di lui, nella nebbia leggera del mattino, che si spostano geometrici nelle geometriche strade della città.
Governa la città dal Minareto d'Alluminio, la osserva, la adatta con manopole, interruttori, leve, manometri e strumenti ai cambiamenti del Mondo, la mantiene efficiente e produttiva, ne determina la vita, i ritmi, i tempi; influisce sulle vite delle persone: le sue decisioni sono salvezza o distruzione. Da cent'anni le sue decisioni sono state la salvezza. Eppure ora incombe sul suo allenatissimo cervello raffinato il terrore d'un tocco sbagliato sulle leve d'acciaio temprato; incombe l'orrore della distruzione su quest'uomo che nelle mani bianchissime e nelle dita leggere stringe delicatamente la vita di cento milioni di persone.
Ma alla notte, dopo 20 ore di lavoro ininterrotto, quando le macchine automaticamente governano e controllano, quando va a dormire nel suo letto elementare di ferro e di tela, lui stringe a sé l'antico orsacchiotto di peluche regalo di quell'antica e mai scordata madre dolcissima ormai morta cento anni fa.

lunedì 8 ottobre 2007

Fuoco antigeometrico al Supermercato

Cinque uomini col volto coperto, vestiti di tute nere, scesi da un'automobile argento velocissima e potentissima, monumento meccanico pagano da sacrificare al crudele Dio della modernità dinamica, incrociano tiri di mitragliatore con cinque guardie giurate vestite di stemmi luccicanti d'argento e d'alluminio, giubbotti modernissimi antiproiettile, agilissimi guerrieri moderni assaltati all'improvviso.
S'intrecciano le parabole secche orizzontali antigeometriche di sottili proiettili efficientissimi fischianti fra folle di casalinghe disperate terrorizzate urlanti, cassiere giovani isteriche inesperte della vita vera, proiettili sparati come razzi lunari da dieci mitragliatori da guerra da diecimila colpi al minuto. Centomia colpi sparati, esplode scoppiando fragoroso il rumore meccanico pirotecnico della guerra urbana che quotidiana esige e pretende il sangue da versare nell'arena moderna della multimedialità simultanea: dieci telecamere di dieci televisioni nazionali riprendono in tempo reale lo scrosciare del piombo, i visi urlanti nel Supermercato, i corpi bucati scoppiati maciullati di dieci uomini neri e d'argento. Un milione di telespettatori osserva orizzontale e menefreghista dal divano del salotto di ogni periferia italiana.

domenica 7 ottobre 2007

Vita moderna dell'Uomo Urbanizzato Moderno

Noi riteniamo necessario un cambiamento generale violentissimo nelle consunte consuetudini della vita quotidiana dell'Uomo Urbanizzato Moderno, attualmente metodicamente organizzata all'interno del seguente inossidabile schema:

1- dormire (otto ore)
2- tram-metropolitana-auto (1 ora)
3- lavoro ufficio (4 ore)
4- pausa pastasciutta (1 ora)
5- lavoro ufficio (4 ore)
6- auto-metropolitana-tram (1 ora)
7- telegiornale (1/2 ora)
8- pausa pastasciutta (1 0ra)
9- varie ed eventuali (2 ore e mezzo)

E' necessario scuotere questo schema affinché l'U.U.M. si riapproprii del proprio essere umano e soprattutto possa dedicare un sufficiente tempo allo sviluppo delle proprie attività-capacità intellettuali. Affinché questo possa accadere noi lanciamo la seguente proposta:

gli appartamente dell' U.U.M. dovranno essere progettati da architetti tedeschi-svizzeri-finlandesi modernissimi di età non superiore ai 50 anni; gli architetti più anziani, vittime di teorie tecniche ormai superate, potranno tornare utili nella progettazione di spazi verdi urbani dedicati ad anziani-pensionati-malati-vecchie vedove con cane al seguito;

I pavimenti dell'appartamento dovranno essere interamente costituiti da resistentissime lastre di cristallo trasparente al di sotto delle quali un sistema a gas provvederà a produrre, mediante appositi ugelli, fiamme multicolori che avranno il duplice scopo di riscaldare l'appartamento e di conferire un sentimento continuo di guizzante dinamismo di movimento-luce-colore: l'U.U.M. in ogni punto dell'appartamento verrà infatti accompagnato da una visione continua di fiamme che, balenando e guizzando da sotto al pavimento, trasferiranno all'abitante una visione continuamente dinamica attivizzante energizzante ottimizzante.

Per combattere il pessimismo tipico dell' U.U.M. saranno sufficienti poche ore di palestra meccanica al giorno: un corpo energico, attivo e composto da muscoli lunghi ma resistentissimi darà la necessaria carica di ottimismo utile ad affrontare la giornata. Gli stessi muscoli, debitamente sviluppati, si renderanno utili alle Donne Urbane Moderne che dovranno portare i pesantissimi sacchetti del Supermercato abitualmente frequentato.

L'U.U.M. dovrà lavorare 3 ore al giorno: a tal scopo la Ditta provvederà a fornire, presso l'abitazione del lavoratore, un cubo tecnologico lavorativo attrezzato di calcolatori, sistemi di messaggistica, posta elettronica: il cubo tecnologico sarà collegato alla Ditta mediante potentissimi ponti radio che potranno trasmettere informazioni a velocità elevatissime.

L'appartamento dell'U.U.M sarà direttamente collegato, per le sue necessità energetiche, alla centrale elettrica nucleare che occuperà il centro di ogni città moderna italiana.

Ciò che da tutti oggi è considerato pazzesco sarà normalità nel giro di pochi anni.

venerdì 5 ottobre 2007

La donna italiana moderna

La donna italiana moderna metropolitana abituata alle grandi pianure urbane deve immediatamente e consapevolmente trasmettere al maschio italico ormai staticissimo e omosessualizzato:

1- l'idea della forza fisica soverchiante naturalizzata in gambe muscolose e bicipiti d'acciaio abilmente forgiati in palestre specializzate;
2- l'idea della maternità seppur nella sua androgina sterilità: il maschio italiano non deve sopportare donne-uomo ma è necessario che ricerchi donne-donna-mamma-sterile;

La donna italiana moderna metropolitana deve calzare scarpe dal tacco altissimo d'acciaio che battendo con ritmo militaresco sui nostri marciapiedi e sui nostri pavimenti faranno scaturire scintille elettriche ad altissimo potenziale voltaico; si avranno quindi panorami notturni metropolitani solcati da scie fiammeggianti di donne modernissime in dinamico movimento moto-luce-colore. L'energia elettrica così ricavata potrà alimentare orologi atomici da polso precisissimi al milionesimo di millisecondo.

giovedì 4 ottobre 2007

Statica sfera mobile

La madre italica orizzontalizzata dalla pubblicità delle merendine televisive spinge in avanti, attraverso l'entrata del ristorante pizzeria, una sfera di carne rosa a forma di bambino di otto, forse nove anni. La donna guarda in avanti fiera, a testa alta, con sguardo dritto, sfida il cameriere apostrofandolo con un "tu" plebeo; il bambino sferico rosa ciccione appoggia lo sguardo ebete bovino sui tavoli imbanditi del ristorante pizzeria. Il bambino rosa di forse 100 chilogrammi, sfericizzato dalle merendine della televisione, appesantito da migliaia di chilometri di vasi sanguigni alimentanti chilogrammi di inutile grasso, ha gambe storte per via della deformazione delle sue giovani cartilagini; è ingobbito, statico, pachidermico, suda, sbuffa, ansima, è già cardiopatico; vede i camerieri del ristorante pizzeria servire, volando agilissimi fra tavoli apparecchiati, piatti di pastasciutta e ravioli e gnocchi e tortellini. Il Cicciobomba sferico sovrappeso, immagine prototipa dell'italiano impiombato orizzontalizzato dei giorni moderni vede la pastasciutta e pavlovianamente, dalla sua bocca di idiota, emette bava biancastra, lucente, gocciolante.
La madre ordina pe-ren-to-ria-men-te per il bambino macroscopico, figlio della propria carne e del proprio sangue:

antipasto di salumi
pastasciutta con le cozze
insalatina mista con gamberetti
fritto misto di mare
fritto misto di carne
patatine fritte
gelato
tiramisù.

Corpi agilissimi di camerieri magrissimi danzano intorno al tavolo della madre e del Cicciobomba; denti bianchissimi di giovani italiani sanissimi magrissimi ridono del Ciccione con la faccia già sporca di pastasciutta.
E infine, cosa da tutti giudicata pazzesca, il bambino-sfera scoppia in un fragore sonoro di trippa giovanile: milioni di merendine, ormai incarnate in un corpo rosa e flaccido, come schegge impazzite mitragliano il ristorante pizzeria di via Lorenteggio a Milano: 100 morti.

mercoledì 3 ottobre 2007

Scrivere schiaffeggiando

Noi vogliamo scrivere schiaffeggiando e colpire sulla guancia a tradimento il lettore immobile poltronato chiuso nella vita di tram-ufficio-casa; scrivere in una gragnuola di pugni a percuotere facce pallide con le borse sotto gli occhi bovini di amorfi cavernicoli urbanizzati orizzontalizzati da coscienze addormentate dal cloroformio quotidiano di un'Italia sgangherata e cialtrona.
Noi vogliamo colpire con lo schiaffo e con il pugno di parole taglienti come baionette d'acciaio d'arditi schierati in prima linea.

A noi

la strofa vigile e balzante

in un'arena di combattimento dove parole ardite equivalgono alla più fulgida vittoria.

martedì 2 ottobre 2007

[Non Marinettiano] Mi siedo su questo davanzale

Mi siedo su questo davanzale
da dove guardavo
le colonne dei soldati
passare armati
in fondo alla valle
sbiancati dalle bende
fasciati dalla polvere.

Risiedo nello stesso punto
con le gambe penzolanti
e i piedi incrociati
a fumare lentamente.

E risento uguale
il ferro che strideva
e i motori incrinati
e il passo delle truppe
che tornavano sconfitte.

Riguardo quella valle.

Prati abbandonati e bambini
intirizziti
che giocano allegri
in questo freddo pomeriggio
che sta già facendo sera.

Aspetto, di nuovo,
le colonne dei soldati.


Milano, 2005

sabato 29 settembre 2007

Elogio della rissa

La rissa come medicina del mondo; sana scazzottatura a incendiare deserti senza germogli di civili vacue discussioni fra cervelli spenti che meccanicamente aprono-chiudono-aprono bocche di denti bianchissimi dentifriciatissimi su dorate smaglianti abbronzature inutili su facce quadre tonde bislunghe idiotesche in studi televisivi teatralmente apprestati a commedia con parti già scritte.
Noi vogliamo, invece, lo scontro fisico dello studio televisivo teatrale che ci dia il dinamismo delle linee dei pugni, dello schiocco delle sberle, dei tonfi dei calcioni, delle linee visibilmente dinamiche di tattiche guerresce da studiare come su mappe militari. Noi vogliamo essere la linea avanzante ma ferma di milioni di soldati feriti stracciati dilaniati uccisi digrignati che si fermano a guardare i generali e i colonnelli e i maggiori e i capitani a mitragliarsi inesorabili raffiche di pugni, sberle, calcioni.
Noi vogliamo incendiare lo statico mondo dei salotti televisi e portarli in arene d'acciaio dove il sangue rende nobili le loro facce abbronzate di vecchi statici idioti.

giovedì 27 settembre 2007

[Non Marinettiano] La montagna

Sto seduto qui, sulla cima di questa montagna, a guardare le altre montagne che mi stanno vicine, oltre ai prati e le valli, ferme da secoli nella stessa posizione a guardarsi l'una con l'altra, a impararsi a memoria, a studiarsi i fianchi corrosi dai millenni. Sto seduto sotto un cielo nero di nubi negre che corrono da Est verso Ovest, che spuntano all'improvviso, attraversano la valle davanti a me, oscurano d'ombra gelida i prati e i pini e vanno via a sinistra, scavalcando la montagna quadra che da sempre incombe su di me.
Non mi giro mai con gli occhi, lo sguardo sempre fisso in avanti, la schiena curva e le gambe inesistenti, guardo le montagne di fronte e le chiamo col loro nome, una ad una, compagne antiche d'una vita vissuta sempre qui, seduto sulla cima di questa montagna.
Mi chiamo Gianluca Sivieri e sono la montagna: da sempre sono seduto qui e tengo lo sguardo fisso davanti a me.

mercoledì 26 settembre 2007

Il Ciccione Rigato

Un uomo vestito solo di un costume da bagno a righe gialle e rosse orizzontali che gli copre tutto il corpo di ciccione urbanizzato ripete saltelli atletici accompagnati da sonori "oplà!" mentre, dal punto più alto del Duomo di Milano, osserva l'oceanica adunata di spettatori per lui convenuti e che gremiscono la piazza che sotto di lui si apre multicolore, multirazziale, multisonora.
Il Ciccione a righe orizzontali indossa i suoi occhiali da miope e conta nella piazza centomila occhi spalancati, diecimila macchine fotografiche digitali, mille telecamere professionali di mille televisioni mondiali; a destra, verso la Galleria, cinquemila giornalisti con cinquemila computer portatili; a sinistra, verso l'Arengario, cinquemila carabinieri. In fondo dritto, verso il Cordusio, centocinquanta autoambulanze d'alluminio lampeggianti modernissime: centocinquanta motori da centocinquanta cavalli.
Il Ciccione rigato consulta l'orologio da polso: tre minuti a mezzogiorno; la piazza si muove si scompone si agita e sale un "ooohhh" di eccitazione al movimento del braccio con l'orologio; centomila occhi guardano, diecimila macchine fotografiche digitali scattano, mille telecamere professionali rimbalzano a mille televisioni, attraverso mille ponti satellitari, l'immagine enormemente ingrandita dell'orologio da polso del Ciccione: in tutto il Mondo è mezzogiorno meno tre . Il Ciccione riporta il braccio alla precedente posizione: la piazza multicolore e multirazziale torna alla multisonora normalità.
Ed ecco che, pazzescamente, il Ciccione multirigato spicca tre piccoli balzi inaspettati, s'avvicina alla balaustra di marmo che lo separa dal vuoto verticale, slancia le braccia in avanti come in un tuffo agilissimo e, con un dinamicissimo salto definitivo si lancia nel vuoto, in basso, verticale, a capofitto sulla folla multicolore, multirazziale, multiurlante di un orrore eccitato bellissimo tremendo. Nella piazza che s'avvicina alla velocità pazzesca di duecento chilometri all'ora il Ciccione con le righe vede aprirsi la folla, crearsi un buco, un varco vacuo sul selciato di marmo ingrigito dal passaggio di un milione di piccioni. Un piccione vecchio e rognoso non fa tempo a spostarsi, il Ciccione lo spiaccica con il suo corpo urbanizzato che lanciato sul selciato scoppia con un "bum" deflagrando in centomila pezzi, centomila coriandoli di carne e di ossa e di ciccia e di trippa che ricadono, come pioggia nucleare, novella Hiroshima, sulla folla urlante, multicolore, multirazziale, eccitatissima.
Mille televisioni in tutto il Mondo rilanciano a un miliardo di persone l'immagine statica di un costume a righe orizzontali gialle e rosse, straccio sanguinolento deflagrato, esploso; vicino al corpo un orologio da polso senza il polso e un paio di occhiali incrinati da miope urbanizzato.

Pioggia d'alluminio

Piovono schegge leggere d'alluminio lucente oggi su questa città di piombo massiccio fusa come blocco di ghisa unico e piantata cubica nella terra molle della pianura padana.
Ci vogliono ombrelli d'acciaio a difendersi dal mitragliamento d'acqua-alluminio mentre tram arancioni buttano in avanti fanalerie gialle a creare milioni di riflessi oro sull'argento lucente dell'alluminio, sul grigio pesante del piombo, sul nero cieco della ghisa, sulle lame fiammeggianti dell'acciaio di avanguardie ardite di ombrelli portati in spalla come moschetti alla guerra.

martedì 25 settembre 2007

Demolizione della città di Milano

Crediamo opportuna la demolizione della città di Milano, vetusto ricettacolo marcescente di geometrie imperfette e di insopportabili lentezze.
La demolizione completa potrà, attraverso le ultime tecnologie, essere portata a termine nel breve giro di sei mesi al massimo: cariche di esplosivo plastico e utilizzo di enormi bulldozers saranno sufficienti allo spianamento totale di un'area che abbiamo calcolato in 625 chilometri quadrati: sullo spazio quadrilatero di 25 chilometri di lato che verrà così sanificato sorgerà la nuova città.
Le macerie saranno facilmente rimosse mediante giganteschi autoarticolati e trasportate presso il vicino lago di Como che verrà utilizzato come contenitore e quindi interamente riempito: in questo modo avremo creato una pianura di circa 125 chilometri quadrati a pochi passi dalla nuova città. La pianura verrà utilizzata, dopo essere stata interamente asfaltata, come aeroporto.
La nuova città di Milano dovrà avere forma di quadrato di 100 chilometri di perimetro ed essere interamente cinta di mura in cemento armato: quattordici porte di accesso saranno dislocate a intervalli di sette chilometri e quattordici metri.
Nel centro della nuova città una enorme centrale elettrica atomica fornirà energia alle fabbriche, alle case, alle automobili mediante particolari prese elettriche disponibili ogni 50 metri e dalle quali ognuno potrà attingere l'energia necessaria.
Dovranno essere abolite biciclette e motorette, causa di disordine e incidenti.
La città sarà servita da dieci livelli di superstrade di dieci corsie; cinque per ognuno dei due sensi di marcia; dovrà essere amministrata da un governo costituito da tedeschi, svizzeri e finlandesi.

Linee metalliche geometriche

Linee metalliche geometriche di binari di tram rilucono scintillando nell'alba equinoziale del Cordusio; non distante la testa travertinata di Marinetti guarda l'attuale lentezza statica della città addormentata in una notte di idee morte ma insepolte.

lunedì 24 settembre 2007

Dinamismo tranviario legato al concetto di velocità

L'esigenza di asservire la velocità rende i passeggeri delle reti tranviarie agilissimi calcolatori meccanicizzati programmati alla soddisìfazione dell'equazione:
Velocità=metri percorsi/sforzo in vece della più classica e naturalmente corretta funzione V=spazio/tempo.
Ottimizzare lo sforzo meccanico muscolare a vantaggio di una più durevole staticità del corpo intero è l'imperativo degli anni 2000: ciccioni e ciccione d'ogni colore, ma anche agilissimi corpi di giovani italiani disegnano strategie di risparmio energetico lungamente meditate e più volte messe in pratica con successo degno di essere riguadagnato.
Vediamo dunque cronometri precisissimi sottoforma di uominidonne che si alzano dal confortevolissimo posto occupato a discapito di vecchi vecchie gestanti solo nel momento esatto in cui, procedendo attraverso la via pià breve, possano lanciarsi con agile saltello fuori dalla porta di ingresso e più raramente di uscita.
Si assiste dunque e spesso a movimenti di massa geometrici ma disordinati di uominidonne che, interescando linee d'uscita spesso coincidenti se non addirittura intersecanti, meravigliosamente innescano linee colorate di verdure fuoriuscenti da sacchetti della spesa, bastoni di vecchi, masse carnose antidinamiche di razze bianche nere gialle in un turbinio frusciante d'urgente necessità di essere veloci dinamici in orario, sempre, sulla tabella di marcia del proprio meccanico cervello preprogrammato.

Falsa velocità

Costruiscono automobili velocissime leggerissime dinamicissime che raggiungono anche i 300 chilometri all'ora perché la velocità passiva, quella che si raggiunge meccanicamente senza lo sforzo dei propri muscoli, inebria facilmente: a pochi piace raggiungere i 50 chilometri all'ora correndo, a tutti piace l'emozione dei 300 raggiunti con le mani strette sul volante di un'automobile potente.
Eppure si tratta di falsa velocità, rattristata confusa e depressa da incomprensibili limiti autostradali di 130 Km/h.
Preferiamo, quindi, viaggiare sui nuovi treni agilissimi e velocissimi da cui godere lo spettacolo dei nostri panorami italiani languidamente seduti in prima classe nel vagone restaurant di un modernissimo treno che scintilla da nord a sud in un silenzioso fischìo come d'aria compressa.